Livio Benetti:
grande testimone del suo tempo
di Renzo Sertoli Salis
Parlare di Trento, ricordare Trento, il castello, i suoi bastioni, la memoria solenne del sacrificio di Cesare Battisti. Ancora, nella memoria, quand'ero studente di ginnasio (s' era addirittura nel 1917) un sonetto d'un mio professore che, vaticinando il riscatto della città italianissima che gemeva sotto il giogo austriaco, così iniziava:
"0 padre Dante che le balze guardi
di Tridento che solire e sempre attende
l'ora fatal che i battaglion gagliardi
strugghin dei Turchi le rimaste tende
o padre, benedici i giovanetti
che apprendono la lingua di quei forti
che paleggiando i pali hanno sorretti i termini di Roma ora risorti...".
Ebbene ricordando Livio Benetti, le sue sculture, i suoi dipnti sparsi un po' dappertutto in Sondrio e nella valle adduana non posso non pensare come questo nobile artista venuto da Trento, in mezzo alle montagne, per trascorrere la sua vita reconda e creativa ancora in mezzo ad altre montagne, stavolta quelle della Valtellina, fosse nato proprio in quel 1915 che vide il solenne gesto marziale di un'Italia rivolta verso il proprio completo riscatto. Mette ancora conto di ricordare come i nomi romani della casata del nostro Benetti, lui Livio e poi Aurelio e Flaminio due dei suoi figli, altro significato (e cosi nobile) non avevano se non quello di rivendicare all'italianità quanto di italiano era stato od era conculcato dall' Austria.
II 1915, non a torto chiamato quello del maggio radioso, fu dunque l'anno in cui vide la luce il nostro, pittore e scultore che vorrei dire soprattutto di montagna, non tanto e non solo per quel suo asciutto, vorrei dire essenziale sentimento estetico rifuggente da ogni retorica e da ogni sovrabbondanza, ma anche soprattutto per la scelta, l'oggetto delle sue creazioni: figure umane ricondotte in qualche modo alla semplice solennità del simbolo, casolari o rustici quasi scheletrici e solo elementi per abitare, terrazzamenti sovrapposti quasi grondanti il sudore dell' uomo che li realizzò, montagne rudi e svettanti nel solare meriggio o nell'aureo tramonto. Artista di montagna vuol dire anche sincerità, schiettezza, semplicità non sempre reperibile almeno nel regno delle Muse: se la montagna, come il mare, ravvicina l'uomo a Dio e alla natura, essa, come il cielo, è simbolo di riposo eterno, è senso di vita aspra e difficile, di conquista rinnovata e che si rinnova. Così una distesa infinita di acqua e di onde non avrebbe avuto, per Livio Benetti quel profondo significato di lotta e di vittoria umana, che ispira le asperita delle vette.
Artista versatile sia nel pennello sia neIlo scalpello, Livio Benetti è destinato a rimanere a lungo testimone del suo tempo e delle sue terre, quella d' origine e quella d'adozione, la tridentina riscattata all'Italia tre anni dopo la nascita dell'artista e la Valtellina, austera e spesso aspra, ma placata e nobilitata dal perenne fluire del suo fiume Adda.


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