Un dipinto ritrovato


BREVE STORIA DEL DIPINTO DELL' ARTISTA LIVIO BENETTI ESEGUITO NEL 1940 NELLA CALOTTA ABSIDALE DELLA CHIESA PARROCCHIALE DI PERGOLESE

Aurelio Benetti*

Tornati dal viaggio di nozze, Livio Benetti e Pia Torneri, prima di insediarsi definitivamente a Sondrio, dove li aspettava la casa che li avrebbe accolti per il resto della loro vita, furono ospiti per qualche settimana a casa di "don zio", don Vittorio Pisoni, sacerdote originario di Pergolese nelle Sarche e loro grande amico.
Sposati da "don zio" nel nucleo antico di Trento, nella chiesa di S. Pietro, il 4 luglio 1940 sapevano già di doversi trasferire subito dopo in Valtellina perché Livio aveva avuto assegnato, qualche anno prima, il posto di insegnante di disegno e storia dell' arte all' istituto magistrale del capoluogo valtellinese.
Ma "don zio" aveva voluto che, prima del trasferimento definitivo, il giovane venticinquenne che era stato suo "discepolo" e a lui legato da grande affetto per anni, suggellasse questo felice rapporto con una opera d' arte importante nella chiesa del suo paese.

Livio Benetti, diplomato al liceo artistico, aveva frequentato l' Accademia prima a Firenze e poi a Venezia. La sua aspirazione principale era quella di poter fare l' artista, pittore e scultore, a tempo pieno anche se, per le sue condizioni economiche non certo agiate, un posto sicuro di insegnamento non si poteva rifiutare, anche a costo di lasciare la propria terra, e probabilmente per molto tempo.

Il trasferimento divenne poi, col tempo, definitivo e Sondrio, città fra le montagne come Trento anche se molto più piccola, divenne la sua nuova dimora per tutta la vita.

Il forte legame fra Livio, Pia e "don zio" nacque nei vivaci movimenti educativi cattolici del tempo, non aderenti alle organizzazioni del regime fascista ed anzi ad esse fortemente in opposizione: la "Juventus", associazione di studenti medi nata nel 1919 e fondata da Giovanni Toller, Giuseppe Margoni e Giulio de Carli, e l' A.U.C.T. (Associazione Universitari Cattolici Trentini). Da questi vivacissimi ambienti educativi, mal sopportati dal regime (la "Juventus" era accusata dai fascisti di essere "il fungo giallo e nero sorto dal fetido letamaio clericale" ) uscirono i più noti esponenti della cultura e della politica espressi dal movimento cattolico trentino.

Don Vittorio Pisoni fu l' assistente dei campeggi estivi o "tendopoli", organizzati dalla "Juventus", grandi occasioni di vita comunitaria e di educazione alla fede cristiana.

Don Vittorio aveva sempre un collaboratore che lo aiutava nella organizzazione del campeggio , l' addetto (o "ladetto" come scherzosamente si chiamava) : questo ruolo fu svolto successivamente da Dario Ranzi (poi disperso in Russia), Flaminio Piccoli (cugino di Pia Torneri e grande amico di Livio Benetti), Luigi Dalvit.

Don Vittorio fu anche assistente ecclesiastico dell' A.U.C.T. di cui Livio Benetti fu presidente per alcuni anni (dal 1933 al 1934 assieme a Nilo Piccoli, cugino di Pia Torneri e futuro sindaco di Trento, e dal 1934 al 1936 da solo).

Da questa storia comune e da questi profondi legami personali nacque quindi l' idea a don Vittorio di lasciare un' opera d' arte importante nella chiesa di Pergolese incaricando Livio Benetti.

Don Vittorio, che era allora catechista al liceo Prati di Trento, tornava sempre d' estate a Pergolese, dove abitavano i suoi parenti, e naturalmente aveva una notevole autorità in paese per cui propose di far decorare la calotta absidale della chiesa parrocchiale.

Il lavoro fu eseguito per amicizia e senza alcun compenso. Durante l' esecuzione del dipinto l' artista e la giovane moglie furono ospiti del sacerdote: l' opera rappresentò quindi un segno molto importante di amicizia e di riconoscenza reciproca.

Tuttavia, poco tempo dopo, per motivi che non conosciamo, il dipinto fu ricoperto con una mano di pittura.

L' artista, giunto dopo qualche anno a Pergolese e sicuro di rivedere la propria opera rimase a dir poco sbalordito non trovandola più.

Solo pochi anni orsono è tornato fortunatamente alla luce, dopo un discialbo piuttosto affrettato, probabilmente non effettuato da un esperto restauratore.

Dal raffronto fra alcune fotografie in bianco e nero scattate dall'artista subito dopo l' esecuzione dell' opera ed il dipinto così come si presenta attualmente si notano alcune vistose differenze che evidenziano come il recupero, pur lodevole, sia stato eseguito in forma imperfetta e approssimativa.

Infatti molti particolari non sono più visibili (in particolare il paesaggio sullo sfondo che aveva una parte importante nel dipinto ), le stesse figure risultano meno definite e prive di ombreggiature e dettagli significativi e sono visibili aggiunte e ritocchi inopportuni.

Il lavoro di restauro meriterebbe sicuramente di essere perfezionato da mano esperta così da far emergere ciò che è ancora nascosto e da eliminare o correggere ridipinture e integrazioni recenti.

Il tema del dipinto, che occupa l' intera calotta absidale sopra l' altare maggiore e che raffigura Gesù con i dodici apostoli, è la preghiera di Gesù durante il Giovedì Santo. Lo dimostra, oltre alla stessa rappresentazione, soprattutto la scritta sopra la calotta, ora coperta, ma visibile in alcune vecchie fotografie in bianco e nero scattate dall' artista poco dopo l' ultimazione dell' opera, con la citazione del versetto di Giovanni cap. XVII : "La vita eterna è questa che conoscano Te solo vero Dio e colui che hai mandato Gesù Cristo".

La preghiera di Gesù che precede la sua passione e morte in realtà nel testo dei Vangeli ha come ambiente il Cenacolo, mentre l' artista, e questa fu evidentemente una scelta intenzionale, ha immaginato la scena nell' ambiente locale rappresentando uno scenario alpino con montagne, case e frutteti e, sulla destra, un paesaggio lacustre con una barca e forse, lontano, lo stesso Castel Toblino, molto prossimo a Pergolese.

Il paesaggio sullo sfondo ora non è più visibile e questo toglie naturalmente vivacità e concretezza oltre che completezza all' opera.

Non sappiamo se il dipinto fu eseguito con la tecnica ad affresco o piuttosto a tempera (o con altre tecniche a secco) e per appurare questo sarebbe sufficiente effettuare un saggio da parte di un restauratore.

E' stata invece recuperata, ed è visibile nell' angolo in basso a sinistra, la firma dell' autore con la data del dipinto : "Benetti Livio '40".

L' interesse dell' opera, oltre che nei motivi storici ed umani sopra descritti, sta nel fatto che è una delle prime opere importanti dell' artista, che allora aveva solo 25 anni, e che è l' unico dipinto murale da lui eseguito all' interno di una chiesa.

Infatti la maggior parte delle sue opere consiste in numerosissimi dipinti su tela , carta ed altri supporti, eseguiti per enti e privati, con diverse tecniche. Le sue principali opere pubbliche, invece, sono sculture in bronzo, mosaici e affreschi murali di carattere civile.

E' singolare che l' ultima opera a lui commissionata è stato un affresco murale per una chiesa, la chiesa parrocchiale di S. Barnaba a Tartano, in provincia di Sondrio, di cui purtroppo è stato eseguito solo il bozzetto in acquerello; l' affresco infatti non si è potuto realizzare a causa della morte dell' artista avvenuta improvvisamente nel gennaio del 1987.

FOTO



(1) Le notizie storiche sono tratte da : "Il movimento cattolico trentino dalle origini alla resistenza 1844-1945" di Paolo Piccoli e Armando Vadagnini a cura del Centro di Cultura A. Rosmini di Trento (1985).

(*) Figlio del pittore-scultore Livio Benetti, architetto libero professionista, ha progettato e diretto negli ultimi anni numerosi lavori di restauro di antiche chiese in provincia di Sondrio. Si sta occupando con i fratelli del censimento di tutte le opere del padre , eseguite in gran parte in provincia di Sondrio: nel 1997, a Sondrio, ha curato l' organizzazione e l' allestimento di una importante mostra retrospettiva del padre, promossa dalla Provincia di Sondrio e dal Credito valtellinese, che comprendeva circa 80 opere fra disegni, dipinti e sculture.


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