Ritorna sulle Alpi un maestoso battito d'ali



(da Quaderni Valtellinesi - 3° trimestre 1995)

La reintroduzione nelle Alpi del gipeto, chiamato in passato anche avvoltoio degli agnelli, è un fatto che non può lasciare indifferenti i valtellinesi appassionati dell'ambiente naturale alpino, non solo perchè questo avvoltoio, scomparso dalle nostre montagne circa un secolo fa, è il più grande rappresentante dell'avifauna indigena, ma soprattutto perchè alcuni di questi preziosissimi grandi rapaci, dopo avere varcato con lenti e maestosi battiti d'ali il confine del vicine Parco Nazionale svizzero, sono entrati a far parte(finchè l'ospitalità sarà di loro gradimento) del patrimonio faunistico protetto valtellinese, precisamente di quello del Parco dello Stelvio.
Il progetto di reintroduzione nato sotto l'egida del WWF e dello IUCN, ha previsto lanci in quattro zone dell'arco alpino: all'avvio dell'esperimento nel 1986, a Rauris(A) e nell'Alta Savoia(F), poi nel 1990 in Engadina(CH) e nella zona Argentera Mercantour(I/F), utilizzando solo esemplari prelevati da zoo o dal centro di allevamento di Vienna, dato che l'unica area in cui la specie non è attualmente minacciata, cioè i Pirenei, non era in grado di tollerare alcun prelievo.
Le attente guardie del Parco Nazionale, diventate in questo caso degli ottimi bird-watchers, hanno avvistato nel 1993 in val Zebrù, addirittura tutti e 7 gli esemplari rilasciati in Engadina in volo assieme ad un esemplare austriaco e ne hanno già contati 6 con permanenza stabile sul nostro territorio.
Si parla di patrimonio protetto anche se poi questa protezione è del tutto relativa: è infatti accertato che uno dei magnifici esemplari che si erano insediati nella zona dello Stelvio, di nome Felix, si sia malauguratamente imbattuto, durante uno sconfinamento in territorio altoatesino, nel solito imbecille a caccia di trofei, che non ha esitato ad abbatterlo con un colpo di fucile.
Si può capire quindi facilmente come in passato si sia arrivati allo sterminio di questo straordianrio uccello, già odiato immeritatamente dai pastori, che intorno al camino nelle lunghe sere invernali si tramandavano leggende di attacchi ai loro greggi; esso divenne poi per la sua rarità un trofeo sempre più ambito dai cacciatori(l'ultimo esemplare venne ucciso in Valle d'Aosta nel 1913).
Tempo fa una bella mostra sul gipeto e sulla sua reintroduzione nelle Alpi fu presentata presso il Museo di Storia Naturale di Morbegno ed in quella occasione filmati e tabelloni spiegavano che questi enormi uccelli sono estremamente docili e mansueti e che nonostante il loro antico appellativo, prova della cattiva fama di cui godevano come predatori di agnelli, in realtà non sono in grado di sollevare pesi superiori ai 2 kg e 1/2, cosa che non si sforzano neanche di fare in quanto il loro pasto è costituito quasi esclusivamente da ossa di carogne.
Questo non esclude che in casi di necessità(la pastorizia è in netto calo) il gipeto si nutra anche di carne fresca come quella molto grassa e saporita della marmotta ; a proposito poi delle sue capacità di trasporto ho la prova fotografica di un Gipeto che trasporta ad alta quota una marmotta il cui peso è senza dubbio superiore ai 2 kg e 1/2.
Estremamente ingegnoso è il sistema con cui le ossa più grandi vengono spezzate: dopo ampi volteggi per alzarsi di quota, l'osso viene lasciato cadere sulle rocce sottostanti dove si frantuma in mille pezzi.
La solennità del volo del gipeto lascia senza parole e l'ampiezza dell'apertura alare, che può raggiungere i due metri e 1/2 può far rabbrividire anche la persona preparata a questi incontri, quando se lo vede volare silenzioso pochi metri sopra la testa;devo dire però che a differenza dell'aquila che ha sempre un atteggiamento minaccioso e fiero, il gipeto non incute paura e anzi col suo mento barbuto, l'avvicinarsi curioso e l'aspetto decisamente originale, ispira un senso di fiducia e simpatia.
Di certo è vero , come osserva F.Framarin ne "Il Gipeto e le Alpi-Storia di un ritorno", che per un protezionista come per chi ama semplicemente la natura, il massimo della gioia è raggiunto in rari incontri ravvicinati con le grandi bestie selvatiche nel loro ambiente naturale; il ricordo di certi momenti non scompare mai.
Come l'Aquila il gipeto depone normalmente due uova, anche se, a differenza degli altri uccelli, non in primavera ma in inverno, dato che il suo cibo primario che, come detto, è costituito da animali morti, è più abbondante alla fine della stagione fredda quando si liberano dalle nevi le carogne degli animali uccisi dalle malattie, dal gelo o dalla caduta di valanghe
Come succede per pochissime altre specie di rapaci come l'aquila anatraia minore(in questo caso non per fame come per la maggioranza degli altri rapaci), si verifica poi nelle prime settimane di vita quel crudele ma purtroppo necessario fenomeno denominato "cainismo" per cui il più forte dei due piccoli nati, in genere quello più anziano, uccide il più debole.
Interessante sarebbe poi prendere in esame il comportamento sullo stesso territorio di questi due maestosi rapaci che pur scontrandosi spesso in tremendi conflitti aerei, non dovrebbero essere in concorrenza tra loro nell'ambito della catena biologica naturale ma anzi integrarsi reciprocamente(è segnalato addirittura un caso di collaborazione di un gipeto nella costruzione di un nido d'aquila).
D'altra parte è ben nota l'aggressività dell'aquila che spesso si avventa su tutto ciò che sente come una minaccia al suo territorio(si ricordano vari episodi di attacchi ad alianti come pare sia accaduto anche nel caso dell'aquila trovata uccisa anni fa nella zona di Berbenno e ora conservata presso l'Amministrazione Provinciale).
Le belle fotografie che corredano questo articolo sono state scattate dall'autore alla fine del 1994 nella zona dello Stelvio e in base alle marcature individuali e alla scheda di riconoscimento, ritraggono senza dubbio l'esemplare rilasciato nel 1993 in Engadina chiamato "Cic"(maschio) e forse(è difficile il riconoscimento avendo l'esemplare perso alcune penne delle ali), una femmina rilasciata a Rauris nello stesso anno, chiamata "Hans Rupert"(che sia nata una nuova famiglia?).
Progetti di reintroduzione come questi e come d'altra parte quelli riguardanti lo stambecco, sono ad ogni modo una speranza per il futuro ed oltre ad avere il merito di far rivivere un ambiente naturale sempre più in declino, fanno conoscere alle nuove generazioni animali che esse nemmeno sospettavano potessero esistere nelle nostre vallate.
La protezione dell'ambiente naturale alpino, non di certo la sua mummificazione, ma una intelligente salvaguardia del paesaggio in genere ed in particolare dei suoi animali, dei suoi fiori, dei suoi maestosi boschi di abete, diventa ogni anno che passa sempre più importante e certamente dovrà diventare elemento caratterizzante dei programmi politici che disegneranno i contorni della società del 2000.



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