In Val Gerola sulle tracce degli avi dei dinosauri



(da Quaderni Valtellinesi n.57 - 1° trimestre 1996 e da Il Pizzo dei Tre Signori di A.Sala Novembre 2003 Ed.Bellavite Srl)

Le Valli del Bitto di Gerola e Albaredo, valli storicamente e artisticamente importanti, non mancano certamente di attrattive per il visitatore attento che può trovare pane per i suoi denti sia nel campo prettamente culturale che in quello sportivo; se nella zona di Sacco può sbizzarrirsi nell'ammirare le innumerevoli ricchezze architettoniche e il fiorire su quasi ogni casa di bellissimi e variopinti affreschi, nella zona di Pescegallo, della cima Rosetta, del monte Olano, del monte Lago o del pizzo Pedena può dedicarsi allo sci di discesa o allo sci-alpinismo sudando le proverbiali sette camice lungo gli ormai classici itinerari di questo meraviglioso sport.
Le pitture murali del paese di Sacco testimoniano il fiorire dei rapporti culturali tra valli adiacenti come la Valtellina e le vicine valli bergamasche da cui provenivano innumerevoli pittori viandanti e tra questi un esponente della famosa famiglia di artisti dei Baschenis di Averara.
Particolarmente famosa è poi la "camera picta" dell'Homo Selvadego, recentemente restaurata e diventata ormai quasi un simbolo della valle.
Lungo i sentieri di montagna si possono incontrare innumerevoli, preziose santelle mentre gli edifici sacri sono ricchi di tele e di oggetti preziosi, spesso dono di emigranti nel Veneto, nel Lazio o in Campania; alcuni articoli dedicati a una bella tela che arricchiva una cappella in quel di Sacco di sotto, recentemente restaurata dal parroco di Regoledo, e alle santelle della zona di Pedesina sono già apparsi in passato sui Quaderni Valtellinesi.
La fama della valle del Bitto di Albaredo è anch'essa assai antica in quanto attraversata da secoli dalla leggendaria strada Priula, ampliata e migliorata verso la fine del '500 dal podestà veneto Alvise Priuli, che intendeva migliorare i trasporti commerciali di Venezia verso il territorio grigione.
Attraverso la valle Brembana, il passo di San Marco e quindi attraverso il Septimer le merci raggiungevano il Centro Europa e quindi i ricchi mercati di Amsterdam e del Nord Europa.
Già appena dopo il 1000 le stradine sterrate e i sentieri della Val Gerola erano già tutto un brulicare di attività commerciali che raggiunsero il loro apice con la valorizzazione della valle dal punto di visto minerario; infatti la fortuna delle valli del Bitto e da questo punto di vista, soprattutto di quella di Gerola derivò, come per molte altre valli orobiche, dallo sfruttamento degli innumerevoli filoni di minerali di ferro(soprattutto Siderite) che attraversano la catena orobica; si pensi che nella sola zona del lago d'Inferno sono stati individuati i resti di muretti a secco di più di 30 forni fusori.
In queste valli ricche di acqua e di boschi non mancava certamente la legna, necessaria per lavorare il minerale grezzo cosicchè lo sfruttamento delle ricchezze minerarie continuò fino a quando cominciò a scarseggiare questo prezioso combustibile, mentre eventi calamitosi come frane e alluvioni rendevano sempre più difficile l'attività estrattiva di un prodotto che, appunto per gli elevati costi, aveva perso la sua concorrenzialità rispetto ad altri mercati.
Per completare il quadro non possiamo scordare le ricchezze naturalistiche e la produzione casearia del famoso Bitto, menzionato fin dal Seicento e conosciuto ovunque per le sue caratteristiche.
Tra le ricchezze naturalistiche è da citare la fauna che da alcuni anni annovera un cospicuo numero di stambecchi reintrodotti in zona da poco e che si sono ben ambientati frequentando soprattutto lo spartiacque orobico e la zona del lago di Trona, l'aquila che volteggia silenziosa sui 2553 m. del Pizzo dei Tre Signori, il camoscio, presente un pò dovunque come anche la marmotta ed altre innumerevoli specie.
Da alcuni anni si è aperto però, ad arricchire un patrimonio di valle già assai cospicuo, un nuovo capitolo nell'affascinante libro della storia di questa valle, un capitolo che ci porta assai indietro, addirittura nel Paleozoico e più precisamente nel Permiano, quando l'ambiente naturale della zona era assai diverso da quello attuale.
Tutta la fascia che corrisponde all'attuale spartiacque orobico era costellato di paludi e laghi, fosse colmate da sedimenti erosi dalla catena ercinica e da prodotti vulcanici(lava-polvere e proietti vari caratteristici di fenomeni vulcanici sono quasi sempre presenti in tutte le zone sottoposte a distensione).
Le rocce originate da questo materiale, originariamente deposto in zone depresse, affiorano ora proprio nelle zone più elevate del crinale orobico, portate lassù dai grandi sommovimenti orogenetici susseguitisi nel ciclo alpino.
Si parla di formazioni note ai geologi e agli studiosi di tettonica alpina e prealpina come la Formazione di Collio o il Conglomerato di Ponteranica risalenti al Permiano Inferiore costituite la prima da un'imponente sedimentazione continentale fluviale e lacustre(prevalentemente arenarie verdi o nere) la seconda, che si è depositata nelle zone marginali e poco profonde degli stessi bacini lacustri, da conglomerati di ciottoli costituiti da vulcaniti e arenarie rossastre.
Durante il Permiano Superiore si formarono poi quei depositi alluvionali che diedero origine all'attuale cosiddetta formazione del Verrucano lombardo, conglomerato costituito da detriti (ciottoli e frammenti di rocce preesistenti) portati a valle da corsi d'acqua che, improvvisi e irruenti, si riversavano allo sbocco delle grandi pianure
Queste formazioni rocciose, rappresentate quindi prevalentemente da rocce sedimentarie e più specificatamente da conglomerati e arenarie sono per così dire, l'equivalente fossile (rispetto alla catena ercinica) delle ghiaie e dei conglomerati recenti della pianura padana, che testimoniano l'erosione in corso della catena montuosa generatasi dall'orogenesi alpina.
Estesi affioramenti della Formazione di Collio sono segnalati dai testi di geologia anche nella zona del lago dell'Inferno e del lago Zancone in alta val Gerola.
Proprio dagli strati di queste arenarie, verdi, rosse o nere, fondali bassi o rive sabbiose di questi bacini lacustri, tornano oggi alla luce, le impronte fossili di quei lucertoloni, di piccole o medie dimensioni(le più grandi di 7-8 cm. fanno pensare alle dimensioni di un iguana) che evidentemente lì passeggiavano tranquilli circa 250 milioni di anni fa.
Con l'inizio del Trias, nel Mesozoico, il mare comincerà poi ad invadere questa zona lacustre ed il paesaggio tenderà ad assumere l'aspetto tipico della piana di marea, lagune e baie poco profonde i cui sedimenti hanno dato origine a rocce sedimentarie marine come il Servino che non interessano però il versante valtellinese, a parte un piccolo affioramento nella zona sud della bocchetta di Trona.
F.Penati, direttore del Museo naturalistico di Morbegno, ente che ha avuto il merito di iniziare gli studi su questi ritrovamenti e di lanciare per i prossimi anni una campagna di scavi e di ricerca, ricorda in un articolo apparso sul Giorno del 16 febbraio 1995: "sono impronte su rocce che derivano dall'indurimento di fanghi che occupavano sponde di bacini di acque dolci, probabilmente laghi ed appartengono ad animali chiamati tetrapodi, cioè a quattro zampe. Dire di cosa si tratti con precisione è ancora difficile; sarà un'apposita campagna di ricerche a definirlo con esattezza.....Si tratta ad ogni modo di animali che sono vissuti nel periodo di passaggio fra gli anfibi ed i rettili primitivi.... tra i 260 e i 230 milioni di anni fa, che si possono definire i progenitori, gli antenati dei dinosauri ....Rocce con fossili sono sono già state segnalate nella Bergamasca; si hanno notizie di impronte ad esempio nella zona del Pizzo dei Tre Signori......Non si esclude che una prossima campagna di ricerche porti a scoprire resti fossili di vegetali e ossa."
Il ritrovamento di impronte fossili sul versante bergamasco non è infatti una novita e già nell'importante testo di Bonsignore, Nangeroni ed altri, dedicato nel 1970 alla geologia del territorio della provincia di Sondrio, veniva citata la presenza nelle arenarie, siltiti e argilliti ben stratificate, da grigie, a grigio-verdastre, fino a nerastre della Formazione di Collio e negli scisti ardesiaci(tipici della zona di Carona nel Bergamasco) di rari resti vegetali(sp.Walchia) e di impronte di tetrapodi.
Una prima segnalazione di impronte di tetrapodi sul crinale orobico della val Gerola veniva già data sul numero 34 del gennaio 1990 di questa stessa rivista, ma il merito della scoperta va al sig. Remo Ruffoni, originario di Gerola che vive ora a Regoledo, artista del legno a tempo perso, profondo conoscitore della val Gerola e della zona del lago d'Inferno dove già da ragazzo aveva fatto il caricatore d'alpe e dove lavora da 15 anni come custode delle dighe Enel.
A lui, attento osservatore dell'ambiente naturale qual'è non potevano sfuggire quelle strane impronte sulla roccia, tra l'altro non sempre facilmente interpretabili, per cui le sottoponeva all'esame degli esperti del museo naturalistico di Morbegno che ne potevano così accertare l'antica origine.
Non è questo ad ogni modo il solo nè il primo importante ritrovamento di fossili in val Gerola; alcuni anni fa infatti, nella zona dei laghi di Trona, grazie alla segnalazione di alcuni ricercatori di Morbegno, veniva individuato in un arenaria nera appartenente alla Formazione del Collio, un giacimento di interessantissimi fossili di resti di una conifera del Permiano risalente a circa 280 milioni di anni fa che, studiata dal Museo di Morbegno veniva dapprima classificata come sp.Lebachia ma poi addirittura riconosciuta come nuova specie e denominata "Cassinisia Orobica".
La val Gerola continua quindi a riservarci liete sorprese e dallo scrigno della sue montagne vengono alla luce nuovi preziosi tesori che, aggiunti alle bellezze già note e sopra decantate, arricchiscono ancor più quello che è il fiore all'occhiello della nostra provincia, un patrimonio naturalistico da preservare, che certamente poche valli sia in Italia che all'estero possono vantare.



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