Dalla Valtellina alla Corsica attraverso la Lunigiana sulle tracce della cultura delle statue stele e dei menhir



(da Quaderni Valtellinesi n.79 - 3° trimestre 2001)

Una breve premessa è necessaria per dare alcune informazioni sul fenomeno o meglio su che cosa si intenda per cultura delle statue stele e dei menhir, processo culturale che tanto ci interessa perchè riguarda molto da vicino oltre che la val Camonica anche la nostra Valtellina.

A partire dal Neolitico avanzato (fine del IV millennio- circa 3200 anni prima della nostra epoca), fino al 2400 a Ch ed anche oltre (fino al 1400 a Ch, data che costituisce per alcune zone insulari la fase finale dello stesso Neolitico, per altre già la fase terminale del Bronzo), si diffuse in tutto il mondo allora conosciuto, ma in tempi differenti e spesso sotto forme ben diverse, una corrente religiosa che lasciò sparse, non solo in tutto il Mediterraneo, ma anche nelle regioni nord-europee tantissime manifestazioni o costruzioni monumentali che danno vita a quella che sarà poi chiamata "cultura megalitica".

Lo studioso Julien Ries afferma che dallo studio della tradizione scritta indoeuropea è emersa, a cominciare dalla fine del XIX secolo, una verità molto semplice: il vocabolario religioso dell'uomo indoeuropeo, dell'India e dell'Iran così come quello del mondo romano e di tutte le popolazioni italiche come anche quello dei Celti è identico e le radici del linguaggio sono le stesse.
Citando poi gli studi di George Dumezil altro grande nome del settore, Ries ci rivela un'altra sorprendente novità: nel pensiero indoeuropeo è sempre presente una concezione tripartita della società, costituita da un livello superiore che è quello della sovranità religiosa e sociale, uno intermedio costituito dal mondo della forza e della guerra ed infine dall'inferiore che è quello della fertilità e della fecondità (è la stessa concezione tripartita dell'Essere Supremo cui accenna Anati nell'introduzione di uno dei suoi volumi.

Nell'ambito di questa cultura si possono fare, in base alla forma delle pietre stesse, alcune distinzioni fondamentali:

  1. Semplici massi, pietre lavorate a forma di stele o vere e proprie rocce spesso già levigate dall'erosione glaciale e decorate poi dall'uomo con incisioni di vario genere: armi animali, scene di caccia ecc.

  2. I menhir veri e propri che sono semplici pietre, spesso rozzamente levigate, originariamente infisse verticalmente nel terreno e il più delle volte in serie numerose, interpretate spesso per la loro forma fallica, come simbolo di forza e virilità, altre volte come semplice segnale sul territorio.
    Secondo alcune teorie che si vanno affermando e che vedremo in seguito le serie di stele sono generalmente disposte secondo un ordine prestabilito che segue una logica cosmogonica.

  3. Le statue stele o stele antropomorfe che rappresentano una evoluzione del semplice menhir e assumono una più o meno accentuata forma umana (vedi statue stele della Corsica, della Daunia e della Lunigiana), con corredo di armi e talvolta anche di vestiario.
    Si pensa che esse abbiano innanzitutto una funzione commemorativa di personaggi defunti .

Espansione geografica del fenomeno

Esaminiamo ora le varie zone prima italiane e poi oltre confine in cui troviamo diffusa la cultura della pietra stele e del menhir; in pratica partendo dal nostro meridione troviamo stele in Puglia, nelle isole Eolie, in Sardegna, in Corsica, nella Lunigiana e in Liguria fino al Veneto per raggiungere poi le zone alpine con la Valtellina (zona di Teglio), il Trentino e la Valle d'Aosta (St.Martin de Corlóans).

Oltre confine troviamo poi grosse concentrazioni di menhir in Francia (regione di Vannes in Bretagna e Carnac), in Spagna,Gran Bretagna e nella penisola dello Jutland.
Mentre la cultura indoeuropea si è chiaramente diffusa da Est verso Ovest, provenendo da oriente, sia per via di mare che di terra, non è altrettanto certo che l'espansione del fenomeno culturale che ha dato origine alla diffusione delle stele abbia seguito quest'ordine; anzi, potrebbe avere seguito un ordine diverso, quello da nord a sud.
Si tenga ben presente che, causa la diversità dei particolari fenomeni evolutivi che caratterizzano la storia delle varie realtà, da un punto di vista strettamente scientifico, i fenomeni andrebbero affrontati ed esaminati singolarmente e non confrontati; il nostro intento è però qui, da profani e da non specialisti del settore, proprio quello di mettere a confronto le diverse caratteristiche con cui il fenomeno si presenta solo (anche per evidenti ragioni di spazio) in alcune di queste regioni.

Vogliamo qui infatti tracciare una linea ideale dalla Valtellina alla Corsica attraverso la Lunigiana ed esaminare brevemente come il fenomeno "stele e menhir" caratterizza queste aree tanto vicine ma anche diverse per storia e tradizioni.

Stele valtellinesi

In Valtellina come già detto a proposito della Val Camonica, oltre alle stele che sono forse l'elemento caratteristico della cultura di queste due valli, rappresentandone senza dubbio una delle più elevate espressioni artistico-religiose, va citato anche l'importante fenomeno delle incisioni rupestri che nella nostra valle caratterizzano soprattutto l'area grosina, attribuite da alcuni studiosi al Neolitico finale, Eneolitico o prima Età del Bronzo.
Per ora in Valtellina non si è accertata ancora la presenza di vere e proprie statue stele o menhir, anche se anni addietro si era aperta la discussione sulla supposta antichità di alcuni reperti della zona di Teglio e Aprica rivelatisi poi di epoca assai recente.
Le stele ad ogni modo, perchè questo è l'argomento che ci interessa, si inseriscono nell'insieme delle composizioni monumentali alpine che caratterizzano altre due zone vicine e comunicanti : la Valcamonica e la valle dell'Adige, entrambe collegate con la Valtellina attraverso i passi dell'Aprica e dello Stelvio.

La roccia base del promontorio di Teglio è la fillade, materiale adatto ad essere inciso perché tenero ma per questo anche soggetto a facile deperimento e erosione; le stele invece sono in genere tutte di granito ricavato da massi erratici depositati in loco dai ghiacciai del Pleistocene e questo prova la chiara volontà degli incisori di allora di voler lasciare opera duratura.
Per quanto riguarda le stele, a differenza di quelle camune, le facce lavorate sono tutte modellate dall'uomo e sono, a differenza di quelle trentine, a superfice piatta. Esse sono rigorosamente catalogate in un prezioso volume di Giliana Muffatti Masselli dove d'altra parte figurano tutti i principali rinvenimenti archeologici della valle.
Come già accennato sono tutte databili all'eneolitico o alla prima età del Bronzo e precisamente al periodo 2200-1800 a.Ch., la figura antropomorfa di Castionetto, al periodo 1250-1000, la seconda stele di Caven, al periodo 1800-1600, le immagini teofore di Caven III e Valgella I.
Bisogna dire che le stele valtellinesi hanno non chiari caratteri antropomorfici come invece hanno stele di altre zone italiane e presentano invece caratteri teomorfici espressi dai simboli incisi in ben determinato ordine.

Stele di Caven

Alcune delle stele valtellinesi come la I e la II di Caven rispecchiano fedelmente, come d'altra parte anche i sassi di Cemmo in val Camonica, lo schema citato da Ries: in alto il Sole con qualche raggio, sotto cervi pugnali e asce e talvolta figure umane.

Maria Reggiani Rajna ricorda come le grandi asce picchiettate al centro, trovino riscontro colle sette asce piatte della statua maggiore di Lagundo in Alto Adige e in val Camonica, colle coppie di asce del masso di Borno, della "Roccia del Sole" e di quella "Dei cinque pugnali"e come la loro maggiore antichità rispetto alla supposta datazione alla Età del Ferro possa ormai considerarsi provata dagli scavi di Remedello e di altre stazioni che hanno rivelato manufatti identici.

Di fronte poi alla III stele di Caven M.R.Rajna si fa, come Marija Gimbutas, sostenitrice della teoria della Dea Madre, interpretando l'immagine che vi è scolpita come una emanazione di questo culto attestatosi nel Paleolitico e durato fino al Neolitico e oltre (vedi statuette steatopigie), collegandola inoltre alle altre due stele che ne sarebbero gli "ex voto o pro voto". Questa tesi è poi rafforzata dalla presenza sulla stele valtellinese dei cosiddetti pendagli ad occhiale, presenti fin dal III millennio a.C. nel mondo orientale e anche più anticamente su reperti della Slesia e della Moravia, e sempre collegati al culto della fertilità. La studiosa a questo proposito ricorda che alcune statuette in ceramica dell'età del bronzo del bacino danubiano, zona a cui si deve la propagazione della spirale a occhiale nelle Alpi, presentino tale decorazione o simbolo sia sul sesso che sui seni. Appurata quindi l'esistenza di questo segno in questi paesi già prima del III millennio, la sua presenza sulle stele valtellinesi è molto importante in quanto costituisce un'altra prova a sostegno delle tesi di Ries e Dumezil a proposito dei contatti delle culture indo-europee con la nostra valle.

Ricordiamo a titolo di curiosità che questo simbolo compare anche sulla antica stele celtica o retica di Bormio, fatta risalire al IV IV secolo a.C. e riferibile secondo alcuni al culto delle acque termali (sarebbe chiaro il nesso con la fecondità della terra).

Stele di Valgella

Una richiama l' immagine antropomorfa della III stele di Caven e la Reggiani Rajna ipotizza che dato che la figura termina col busto, qui si voglia rappresentare la Dea Vergine, l'altra, forse frammento della prima, presenta raffigurazioni di asce e alabarde.

Stele di Cornàl

Anche questa stele presenta l'immagine della Dea femmina come quella di Caven, con collane, cerchi laterali doppi, fasci laterali di rette ad indicare le braccia ecc. Mancano perö i pendagli ad occhiale.
M.R.Rajna sottolinea "l'unità d'intenti impressionante" espressa dalle tre immagini di Dea delle stele valtellinesi, quasi ad esprimere una progressione dinamica del rito "dalla partenica visione di Valgella, alla trionfale teogamia di Caven, alla queta e disadorna maternità di Cornàl".

Stele di Castionetto

Su una faccia della prima di queste due stele compare la rappresentazione molto sommaria di un essere caratterizzato da una collana, la quale, come in altre icone simili (Saint Aubin De Baubignè, Pfutzthal in Germania, Lagundo e Totschling in Alto Adige) non separa il viso dalle spalle che fanno con esso un tutto unico.
Secondo M.R.Rajna, si puö intendere il simulacro di Castionetto come una più antica concezione della Dea Madre.
Questa raffigurazione, caratterizzata dalla collana, è secondo l'Anati databile all'eneolitico ed è senza dubbio il monumento piþ antico del complesso valtellinese, da compararsi cronologicamente ai monumenti simili dell'Europa centrale; si collega infatti con le statue megalitiche della Francia del sud e del bacino Seine-Oise-Marne, tutte caratterizzate dalla presenza di collane e spesso dalla coppia di seni. Sulla seconda faccia è rappresentato poi un personaggio fallico, con una infossatura ad indicare il naso e due piccole ad indicare i capezzoli, che brandisce un'arma dal manico lungo e ricurvo. Ausilio Priuli ha poi messo in evidenza come questa faccia della stele presenti quasi certamente ben cinque fasi di incisione, con due linee verticali nella prima fase, figure non ben definite nella seconda, figure di animali nella terza, un'alabarda nella quarta e finalmente la figura fallica nella quinta.

L'altra stele reca una ruota a doppio cerchio con otto raggi interni che l'Anati definisce "comune nell'arte rupestre camuna a partire dal secondo periodo, ossia dall'eneolitico, ma sconosciuto altrove". Può essere un simbolo solare o la semplice figurazione della ruota.

Stele della Lunigiana

Nel museo di Pontremoli sono ospitate numerose stele ritrovate nell'area che si trova tra Sarzana e San Cristoforo di Gordana e tra Minacciano e Zignago, oltre a quelle ritrovate più recentemente nella zona di Massa Carrara, che fanno pensare all'esistenza di una cultura accomunata dagli stessi elementi.
Le stele, a cui è stato possibile dare una datazione solo in alcuni casi, possono essere divise in vari gruppi:

Gruppo A:
Le caratteristiche principali di questo gruppo sono la testa incorporata al tronco, il volto fatto a "U", gli occhi a incavo, oltre alla semplice linea che divide la testa dal tronco, dalle cui estremità si dipartono le braccia che poi cadono in avanti con una leggera piegatura data dal gomito e con mani molto schematizzate simili a denti di pettine.
Le statue maschili sono poi caratterizzate da decorazioni di armi, per lo più pugnali con manici di diversa forma e lama sempre triangolare, mentre quelle femminili si contraddistinguono per il seno, in genere rappresentato da due dischetti o emisfere più o meno distanziate.

Gruppo B:
La caratteristica di questo gruppo, che possiamo definire intermedio, è la comparsa del collo che si presenta di varie dimensioni, mentre la testa assume quella forma tipica che da molti è stata avvicinata alla forma del cappello da carabiniere.
Gli arti superiori sono talvolta abbassati e talvolta rialzati, il naso è indicato da un cerchio nastriforme mentre le armi sono sempre pugnali con lama ancora triangolare e talvolta asce.
Le figure femminili sono in questo gruppo assai più realistiche con seni più ravvicinati e sempre emisferici, con accenno di capezzoli mentre attorno al collo si si trovano spesso monili.
Queste stele vengono datate ad un periodo collocabile tra l'età del bronzo e quella del ferro cioè tra il secondo millennio e i primi secoli a Ch.
Come accade spesso anche nelle altre aree interessate dal fenomeno delle stele, esse vengono ritrovate il più delle volte monche o fratturate, in seguito ad intenzionali atti di spregio di carattere religioso, oppure perché riutilizzate come componenti di mura o addirittura come mensole o tavoli di pietra, come è accaduto qui nel caso della statua stele femminile acefala esposta nella Pieve di Sorano o nel caso della cosiddetta stele numero 44 Canossa.

Gruppo C:
A questo gruppo appartengono le stele di cui si è in possesso di indicazioni più precise sia per la tecnica di rappresentazione che per il tipo di armi più precisamente classificabili temporalmente.
Le pietre sono levigate e lavorate, i vari elementi del corpo come le mani con tutte le dita molto più precisi, i contorni arrotondati, le armi indicative di epoche diverse, asce, spade corte e giavellotti portati due a due come ricorda anche Virgilio nelle sue famose opere.
Nel caso della sella statua stele Minucciano III, si è riusciti, grazie allo studio dei vari strati di terra e ciottoli che la ricoprivano, a risalire ad una datazione precisa che la colloca tra l'età del bronzo e l'età del ferro, quando fu abbattuta e abbandonata in un terreno che non dà più segni di passaggio umano fino all'arrivo dei romani.
La statua stele più conosciuta sia in Italia che all'estero è senza dubbio la cosiddetta Filetto II che si può quasi definire una vera e propria statua, sia pure con caratteristiche rigidamente geometriche sia nel corpo che nelle braccia; la testa invece è tonda e con elementi, tra cui accenni di barba ben visibili.
E'l'unica stele ad avere gli arti inferiori e si possono osservare anche un perizoma e i testicoli; le armi sono quelle classiche, due giavellotti, l'ascia e il pugnale sul fianco destro.

Statue stele della Corsica

La zona della Corsica dove più alta è la concentrazione di monumenti megalitici e di statue stele è quella di Filitosa; in quest'area infatti questa espressione culturale trovò evidentemente il terreno più fertile per la sua espansione, dal Neolitico recente, dal IV millennio fino al Neolitico finale collocabile verso la metà del secondo millennio a Ch.
Inizialmente i menhir erano piccoli e spogli monoliti, di forma vagamente fallica, associati per lo più a tombe; sono poi gradualmente aumentati in altezza fino a raggiungere anche i quattro metri con forme proto-antropomorfe cui si aggiungeranno, nel periodo che va dai primi secoli del terzo millennio a Ch fin verso la metà del secondo, sotto lo stimolo dato dall'invasione di popolazioni di navigatori guerrieri provenienti dall'Oriente (forse dall'Egeo e da Micene attraverso Thapsos o Siracusa e Metaponto), decorazioni di veri e propri corredi di armi scolpiti (vedi analogie con le stele daune pugliesi).

Una delle stele più alte della Corsica, la cosiddetta Filitosa V, raggiunge i 3 metri di altezza, 1 m. di larghezza e un peso di oltre due tonnellate e presenta come corredo decorativo una lunga spada ed un pugnale con fodero a puntale e manico a lunetta.
L'apporto indoeuropeo sarebbe quindi chiaramente dato in questo caso dall'aggiunta a stele e menhir già preesistenti, di decorazioni prima non in uso presso le popolazioni indigene.
Questo fatto dimostrerebbe, secondo lo studioso Grosjean, che il menhir arcaico era già potenzialmente una statua o immagine commemorativa che negli ultimi stadi, attraverso un livello decorativo più evoluto, serve a soddisfare le stesse esigenze e la medesima finalità culturale.
Le popolazioni di navigatori guerrieri che invasero la Corsica verso la metà del 2° millennio a Ch (Età del bronzo), qui chiamati "Torreani", dovettero scontrarsi con le popolazioni autoctone corse di tradizione neolitica dando quindi vita ad una civiltà che è chiaramente apparentata con la civiltà nuragica sarda e quella Talajotica delle Baleari; infatti molte caratteristiche, tra cui, il casco cornuto, la corazza a spina di pesce, la forma delle armi ecc. sono simili e richiamano i cosiddetti "Popoli del mare" non si sa ancora dove sbarcati per la prima volta nel Mediterraneo; tra questi si ricordano i mitici Sardana, popolo misterioso così fedelmente rappresentato dagli Egiziani nei grandiosi bassorilievi del tempio di Medinet Habu (XII°secolo a Ch). Fu il contatto con queste popolazioni (per una mentalità pastorale preistorica per cui magnificare l'avversario significava captarne le energie), che determinò la chiara evoluzione della statua stele che cominciò a rappresentare esclusivamente, soprattutto nel meridione dell'isola, questi conquistatori con il loro corredo di spade e pugnali di tipo mediterraneo, scolpito a bassorilievo.

Mentre in Sardegna il confronto tra due civiltà diede origine ad una fusione di culture: l'invasione torreana e la lotta con le popolazioni indigene, diedero infatti origine alla potente civiltà nuragica, caratterizzata dalle migliaia di nuraghi sparsi per tutta l'isola, in Corsica questo confronto fu distruttivo provocando la cacciata delle popolazioni megalitiche autoctone e la distruzione dei vecchi insediamenti con sovrapposizione di nuovi.
Questo fenomeno è assai importante ed è rivelato dal fatto che molte delle stele di epoche precedenti vengono oggi ritrovate tra i ruderi delle costruzioni degli invasori; esse venivano infatti abbattute e usate dai Torreani come materiale edilizio per le loro abitazioni-fortificazioni e per i loro monumenti di culto, circolari, con cella centrale coperta a volta. Molte di queste stele (che furono spezzate o abbattute durante l'epoca cosiddetta 3 corrispondente all'invasione torreana che si prolunga fino all'800 a Ch), dovettero quindi essere ricomposte e rimesse in piedi.

Concludiamo questo breve viaggio nella preistoria, augurandoci che presto possano essere valorizzati anche in Valtellina i recenti, importanti ritrovamenti di petroglifi sia nella zona di Castione, vicino a Sondrio, a Tresivio e in quel di Teglio, dove le ultime scoperte arricchiscono ulteriormente il già ricco patrimonio esistente, tramite la creazione di appositi musei all'aperto con relativi percorsi guidati.



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