Itinerario in Val Malenco alla ricerca del leggendario granato verde



La Valtellina e la Valchiavenna sono note ai più per lo sci e il turismo di massa legato a questa attività sportiva o alle semplici escursioni in montagna (Vedi scheda allegata sull’Alta Via) che sulle cime della provincia di Sondrio trova giusto sfogo; esistono però anche molte altre attrattive, che pur essendo sempre legate alla montagna, sono sconosciute alla grande massa ma molto ben presenti ad alcuni specifici settori degli appassionati delle Alpi e dell’ambiente alpino in genere : tra queste ce ne è una assai originale e caratteristica proprio di queste montagne che annovera “in primis” tra i suoi cultori, i ricercatori e collezionisti di minerali (Vedi scheda allegata sulle risorse mineralogiche) ma anche tutti coloro, e tra questi soprattutto molti giovani, che sono affascinati dal mondo dei minerali e dalla ricerca “tout court”. L’ingresso in Val Malenco porta subito il turista a notare lungo la via, molte cave ma anche molte frane che squarciano e segnano i versanti della montagna: è la dura realtà della natura e della storia di questa valle il cui sviluppo economico, più che essere legato all’attività turistica, sempre d’altra parte presente fin dall’800, è sempre dipeso dall’attività estrattiva (Vedi scheda allegata). Si può quindi dire che la storia di questa valle è stata segnata dalla pietra fin dall’antichità e che nella pietra ha trovato sempre la sua vita ma anche la morte di molti che hanno perso la loro vita nel lavoro non solo delle cave, ma anche dei giganteschi cantieri aperti in passato per la costruzione di enormi bacini idroelettrici, lavoro duro e pericoloso che ha a che fare con esplosivi, cavi d’acciaio e situazioni ambientali assai precarie. L’attività estrattiva combinata con le particolari e fortunate condizioni geologiche della valle (Vedi scheda allegata) hanno fatto sì però che si sviluppasse, come succede in altre zone dove è fiorente l’attività mineraria o dove per decenni sono stati aperti cantieri, per lo scavo di gallerie stradali e autostradali o per la costruzione di dighe e tunnel per le prese e lo scarico delle risorse idroelettriche, che si sviluppasse anche un’attività secondaria ma non di scarsa importanza dal punto di vista sia scientifico che economico, legata alla vendita dei minerali rinvenuti dagli operai durante i lavori. Perché ci sia però una ricerca ci deve essere anche chi questa ricerca la stimola e questa seconda funzione è sempre stata prerogativa proprio di quel particolare settore di appassionati della montagna, cui abbiamo già accennato, che sono i collezionisti e ricercatori di minerali, che oltre a svolgere una meritoria e anche faticosa attività sul campo, svolgendo minuziose ricerche sul territorio, sono anche la componente senza dubbio primaria dell’attività di scambio e compravendita. Anche per rendere onore all’attività di generazioni di minatori della Val Malenco e di questi ricercatori autodidatti, che hanno arricchito con i loro campioni, musei mineralogici (Vedi scheda allegata sui musei mineralogici di Sondrio, Morbegno e Bormio) sparsi un po’ dappertutto in Italia e all’estero, si vuole qui accompagnare il lettore lungo un itinerario classico per la ricerca del minerale più famoso e senza dubbio tra i pù belli e ricercati della valle: il granato verde o demantoide (Vedi scheda allegata sui minerali). Per chi giunge da Milano, si esce prima di imboccare la tangenziale, alla prima uscita sulla destra per Sondrio e quindi si procede dritto fino alla prima rotonda, girando a sinistra verso la strada per la Val Malenco. Dopo avere attraversato vari paesi tra cui Mossini, Torre S.Maria, Chiesa in Val Malenco e Lanzada, ci si avvia verso Franscia. Imboccata la strada che porta a Campo Moro e all’enorme bacino idroelettrico che vi si trova, si ferma l’auto nella zona del Ristoro Largone e ci si avvia, lungo un sentiero che attraversa il torrente verso la bocchetta del Cengiaccio (in termine dialettale “Cengiasc”) raggiunto il quale, dopo circa un’ora di cammino, ci si affaccia sulla sottostante Val Lanterna, con ampio panorama sul monte Motta e su tutta la Val Malenco. Dalla bocchetta si diparte una traccia che conduce scendendo sulla destra alla miniera dello Sferlun e sulla sinistra verso la zona di Acquanegra Siamo entrati con questo itinerario nel regno del serpentino e dell'amianto (Vedi scheda allegata sulle risorse minerarie e sull’amianto), minerale fino a pochi anni fa estratto in grande quantità da molte cave e miniere malenche e poi messo in un primo tempo fuori mercato dall'amianto canadese e poi definitivamente messo al bando per la sua potenziale pericolosità come sostanza cancerogena. Possiamo anche dire di essere giunti, dal punto di vista strettamente geologico ai bordi di una grande apertura che si apre sotto di noi, mettendo a nudo quella che è l'unità tettonica più profonda della Val Malenco, la falda Suretta, rappresentata in valle dalla cosiddetta zona Lanzada-Scermendone, che nell'area di Lanzada viene definita dagli addetti ai lavori "Finestra tettonica di Lanzada ". Se quindi la parte più bassa dei versanti della valle è rappresentata da un insieme assai complesso di rocce costituite da brandelli di crosta sia di origine continentale come micascisti, gneiss, paragneiss, marmi, quarziti, calcescisti che oceanica come serpentiniti e oficalci, prasiniti e quarzoscisti a magnetite o minerali di manganese, il bordo su cui si snoda il nostro itinerario si trova tutto nell'ambito delle rocce verdi o serpentine che costituiscono l'unità tettonica sovrapposta alla falda Suretta. Le serpentine sono costituite infatti da alcuni brandelli del mantello terrestre, che costituiva il fondale dell’oceano Tetide, prelevati e portati quassù durante la collisione tra placca europea e quella africana, iniziata alla fine del periodo giurassico, circa 130 milioni di anni fa, causa del processo di formazione della catena alpina ed in corso ancora oggi. Il succedersi di questi eventi è qui ben visibile grazie all'erosione secolare attuata in questo caso dal torrente Lanterna ma che ovunque nelle Alpi è opera di ghiacciai, fiumi e torrenti che con la loro lenta ma possente attività aprono la crosta terrestre, le montagne e le rocce che le costituiscono, mettendo allo scoperto la loro struttura interna, come accade sfogliando le pagine di un libro. L'amianto, ora tanto denigrato, che riempie appunto le fessure delle serpentine, rocce verdi tipiche della zona che occupano quasi tutta la parte centrale della valle e che nell'assetto tettonico della zona sono comprese tra Falda Suretta (più profonda) e Falda Margna (sovrastante), è lo scrigno che racchiude quel meraviglioso minerale, obiettivo del nostro itinerario, che è il granato verde o demantoide. Le cave dello “Sferlun” (maggiorativo del termine dialettale “sferla” quindi : grande crepa o frattura) da cui provengono i campioni più belli di questo minerale, e dell'Acquanegra, caratterizzate da lunghe e ampie discariche di materiale estratto dalle gallerie, sono situate nella zona del vallone del Cengiasc e del cosiddetto Costone d'Acquanegra, appena sopra Tornadri e la val Lanterna e sono ben visibili sul lato sinistro idrografico della valle, da chiunque percorra la strada che sale lungo le pendici del M.Motta, da Lanzada a Franscia. Proprio in queste cave (ora inattive) e nella discarica sottostante sono stati trovati i campioni migliori di demantoide, varieta' verde di andradite. La miniera dello Sferlun, abbandonata più volte a partire dal 1880, e' di difficile accesso, molto esposta e, sia lungo la strettissima cengia che attraversa una parete a strapiombo sulla valle conducendo all'interno della vecchia cava, che all’interno della grande “sferla”, le rocce sono scivolose e strapiombanti per cui è sconsigliabile avventurarvisi senza guida e apposita attrezzatura. Piu' facile e consigliato è l'accesso alle discariche sottostanti la parete che scendono fino al fondovalle (altezza delle discariche e delle cave da 1600 a 1800 m. circa) e visibili dal piccolo paese di Tornadri, oppure a quelle della località Acquanegra, dove sicuramente qualche piccolo campione di questo raro granato è facilmente reperibile. Per raggiungere le discariche dello Sferlun, il percorso migliore e più breve è quello che parte dalla Val Brutta, valletta che si incontra prima dell'ultima galleria per giungere a Campo Franscia. Un piccolo sentiero accessibile dopo aver traversato il ponte sul torrente Lanterna sale sulla sinistra idrografica in direzione delle rocce sovrastanti Tornadri. La discarica e' raggiungibile in circa 1 ora di cammino. In alcuni punti anche questo sentiero richiede attenzione essendo esposto e scivoloso. Le discariche dell’Acquanegra si raggiungono invece facilmente dalla località Cengiaccio, proseguendo il sentiero che attraversa in quota tutto il versante, toccando dopo circa un’oretta di cammino vari punti dove sono evidenti i vecchi lavori di estrazione e dove, facendo molta attenzione alle superfici levigate dei grandi massi serpentinosi, si può rinvenire sicuramente qualche bel campione di quella che viene anche chiamata in valle “la semenza dell’amianto” proprio per la sua consueta dislocazione tra serpentino e fibra quasi fosse il seme da cui l’amianto nasce. L’appassionato potrà così tornare a casa con un souvenir di questa meravigliosa valle, scrigno di tante ricchezze mineralogiche sparse dalla Val Sissone al Passo del Muretto, al Pizzo Scalino, fino alla Val di Scerscen, ma anche ricca di cime che raggiungono i 4000 m come il Pizzo Bernina e bellezze naturalistiche eccezionali come i vari ghiacciai che riempiono le sue vallate, i paesi alpini arroccati sui suoi versanti e mille itinerari tra cui ciascuno può scegliere quello di suo gradimento.

Note sulle risorse mineralogiche della Valle e in particolare sul demantoide o granato verde

La storia dei minerali valtellinesi è senza dubbio fra le più affascinanti che si possano leggere e i fenomeni geologici che l’hanno determinata sono di grandezza tale da indurre l'uomo a guardare la natura con profondo senso di umiltà e rispetto. La particolare geologia della valle (Vedi Scheda allegata), ha fatto sì che si creassero le condizioni più adatte per la formazione di minerali ormai noti e ricercati in tutto il mondo; ricordiamo che in provincia di Sondrio si sono già censite oltre 400 specie di minerali alcuni dei quali a tutt'oggi unici al mondo, come la sigismundite o trovati per la prima volta nella nostra provincia come l’artinite, la brugnatellite o la chiavennite. I cristalli di demantoide che è una varietà verde del granato “andradite”, trovati in Valmalenco, sono fra i più belli al mondo e talvolta utilizzabili come pietre da taglio per ottenere meravigliose gemme. E’ facilmente intuibile che la chiavennite sopra citata è così denominata perchè è stata scoperta per la prima volta in Val Chiavenna, ma già in Val Malenco sono stati trovati e identificati in questi ultimi anni, diversi minerali rari; fra essi la lindsleyite, la redledgeite, la lizardite cristallizzata, l'helvite, l'ekanite, la calzirtite (cristalli fra i più belli al mondo). Non deve meravigliare dunque il fatto che alcuni dei minerali citati siano presenti nei più qualificati musei di mineralogia italiani ed esteri

Le cave dello Sferlùn e il demantoide

Nella zona del Cengiaccio o in forma dialettale del "Cengiasc", già nell'800 si estraevano, sembra con l'aiuto di tecnici francesi, accampati nella zona che ora ha appunto preso il nome di Campo Franscia, tonnellate di amianto, varietà di crisotilo già conosciuto e lavorato nell'antichità, che in Val Malenco si presenta con fibra eccezionalmente lunga (fino a oltre 2 metri); l'amianto veniva utilizzato anche nell'industria tessile, grazie all' inventiva della chiavennasca Candida Lena Perpenti (Vedi scheda allegata), che fu la prima nel riuscire agli inizi dell'800 a tessere fili di questo minerale. Dispersi nelle fibre dell'amianto sono presenti vari minerali anche ben cristallizzati ed è presente in particolare un raro granato andradite della varietà demantoide, contenente anche piccolissime percentuali di cromo, che per il suo colore e le sue caratteristiche di fuoco (dovuto all'indice di rifrazione e alla capacità di dispersione della luce, addirittura superiore a quella del diamante) è molto apprezzato dai collezionisti. E’ un granato caratteristico delle fessure delle serpentiniti dove in genere si trova l’amianto (anche detto asbesto e da qui “asbestosi” che è la malattia tipica dei minatori che lo cavavano). Straordinari cristalli di colore da verde oliva a verde smeraldo, anche limpidi e suscettibili di taglio come gemme, di abito rombododecaedrico, fino ad oltre 2 cm, furono rinvenuti soprattutto nella miniera dello Sferlun in Valmalenco. I primi studi di questo minerale sono opera nell'ormai lontano 1880, del Cossa che analizzò dei campioni raccolti da T.Taramelli negli anni 1876-79, riconoscendoli come andradite verde. Bisogna ricordare che sebbene il minerale fosse già ben conosciuto anche dai minatori che cavavano l’amianto, questo costituisse per loro solo un fastidio e un’ inclusione non desiderata: l’amianto veniva quindi battuto su apposite pietre predisposte allo scopo e liberato dai corpi estranei, proprio per renderlo più morbido e lavorabile. P.Sigismund, il primo illustre collezionista di minerali malenchi, riuscì ad ottenere poi negli anni ‘30 da alcuni minatori i primi e bellissimi campioni di questo bellissimo granato, oggi famoso in tutto il mondo e utilizzato anche come pietra semipreziosa da taglio consegnandone alcuni per analizzarli a Magistretti, altro nome assai noto nell’ambiente, che, valutatone l’importanza e la bellezza, tornò poi nel 1947 a ricercarli in loco rinvenendo i campioni forse più belli mai usciti da questa famosa cava. Solo poi negli anni 1966-1972, Renzo Bagioli di Lanzada riaprì la miniera portando alla luce degli ottimi campioni che fanno ora bella mostra di sé nella collezione di F.Bedognè di Sondrio. Oltre al granato, che quando raggiunge un elevato contenuto di cromo assume una colorazione di colore verde intenso assai caratteristica e molto apprezzata dagli appassionati, in queste cave sono segnalati altri minerali tipici del serpentino come magnetite (che presenta con l’amianto la stessa paragenesi del granato verde), forsterite, aragonite, brucite, cromite; di recente sono stati segnalati anche la la piroaurite e il rame nativo. Minerali tipici delle idrotermaliti, rocce anch'esse affioranti nel vallone del Cengiasc, sono magnesite, dolomite, idromagnesite e un nuovo carbonato di rame e nichel in ciuffi di cristalli di colore azzurro.

Note sulla formazione delle Alpi e sulla geologia della Provincia di Sondrio

L’evoluzione della catena alpina in tutti i suoi aspetti si inquadra nella teoria della "Tettonica delle Placche". Elaborata nella seconda metà del nostro secolo come evoluzione della teoria della "Deriva dei Continenti", essa prevede che la superficie terrestre sia suddivisa in una dozzina di placche litosferiche principali, più moltissime altre minori. Le placche (dette anche "zolle") sono calotte sferiche composte, in senso verticale, dalla crosta terrestre (7-80 Km) e da una porzione di mantello superiore, per uno spessore totale di un centinaio di chilometri. Le placche più grandi sono dotate di un’estensione areale enorme, includendo interi continenti e oceani. Esse hanno un comportamento rigido al loro interno ma si possono muovere reciprocamente grazie a una relativa plasticità del sottostante mantello, rispetto al quale risultano svincolate. Le placche sono svincolate anche una rispetto all’altra, il che consente loro di muoversi reciprocamente o allontanandosi o avvicinandosi o scorrendo lateralmente. Le interazioni tra i bordi delle placche provocate da questi movimenti danno origine a tutti i fenomeni geologici, sia a grande che a piccola scala; uno degli effetti geologici più vistosi è la formazione delle grandi catene montuose, come il sistema Alpino-Himalaiano oppure il sistema Montagne Rocciose-Ande. Il settore alpino dove giace la provincia di Sondrio è un minuscolo segmento di un sistema montuoso che si estende dal Nord Africa fino alla penisola Indocinese, ma è uno dei settori più interessanti. L’origine delle Alpi risale a tempi assai remoti, e la loro evoluzione può essere così schematizzata:
-nel Carbonifero Sup. (300 milioni di anni) tutte le terre emerse sono riunite in un unico supercontinente chiamato Pangea.
-nel Triassico (245 milioni di anni) si assiste a un assottigliamento della porzione centrale del supercontinente che viene ricoperta da un mare poco profondo. Si formano in questa fase le rocce calcaree e dolomitiche presenti nel nostro territorio: nel Bormiese (per esempio, Cresta di Reit), in Val Malenco (Pizzo Scalino, Pizzo Tremogge e Cima di Vazzeda), in Val San Giacomo (Andossi e Pian dei Cavalli) e lungo il crinale orobico.
-nel Giurassico (200-150 milioni di anni), all’interno del supercontinente si formano enormi fratture dirette in senso est-ovest, in conseguenza delle quali le placche paleoeuropea e paleoafricana si dividono e si allontanano: si forma il paleo-oceano noto con il nome di Tetide.
-alla fine del Giurassico (130 milioni di anni) muta il senso di movimento e le placche europea e africana tornano ad avvicinarsi fino a entrare in collisione. E’ in questo momento che inizia il processo di formazione della catena alpina; essa rappresenta il prototipo delle catene collisionali. Durante la collisione, i margini continentali europeo e africano sono stati suddivisi in numerose "scaglie", separate da superfici di movimento. Il protrarsi delle spinte orizzontali ha accavallato le une sulle altre queste scaglie, dando origine alle falde di ricoprimento, cioè a corpi tabulari di rocce varie, spessi al massimo qualche chilometro ma dotati di grande estensione areale (anche qualche centinaio di kmq). Le falde di ricoprimento costituiscono l’ossatura dell’edificio alpino; quelle formate da scaglie della placca paleo-africana sono dette falde Austroalpine, mentre quelle costituite da scaglie della placca paleo-europea sono le falde Pennidiche. Anche alcuni brandelli di quello che era stato il fondale dell’oceano Tetide sono stati "pizzicati" tra le falde, e formano ora le cosiddette ofioliti; esse sono composte da serpentiniti (rocce appartenute al mantello superiore) e da basalti sottomarini e sedimenti oceanici. Successivamente alla loro formazione e sovrapposizione, le falde sono state trascinate a varie profondità, alcune fino a parecchie decine di chilometri all’interno della crosta terrestre, dove hanno subito complesse trasformazioni mineralogiche e strutturali, per effetto dell’aumento di temperatura e pressione. Tutte queste trasformazioni vanno sotto il nome di metamorfismo. Nelle fasi finali dell’orogenesi, masse magmatiche piccole e grandi, provenienti dal mantello, si sono intruse all’interno della catena già formata, squarciando le falde di ricoprimento e provocandovi vistosi fenomeni di metamorfismo di contatto. La Valtellina ospita una delle due più importanti masse intrusive alpine, il plutone di Val Màsino-Bregaglia. La seconda, il plutone dell’Adamello, affiora immediatamente a est del nostro territorio.

L’Alta Via della Val Malenco

L'Alta Via della Valmalenco è un percorso escursionistico in quota costituito da 8 tappe per circa 110 km, che alla fine riporta al punto di partenza, oppure si può spezzare in “mini Alte Vie” di soli 2 o 3 giorni. C'è un itinerario principale o delle varianti che uniscono i più importanti rifugi della Valmalenco (dal rifugio Bosio al Rifugio Longoni, alla Capanna Marinelli fino al Rifugio Bignami). Durante il tragitto si toccano i punti maggiormente significativi e panoramici della valle: la conca di Chiareggio, il lago Palù, il vallone dello Scerscen, le dighe di Campo Moro e di Campo Gera. Nel fantastico panorama caratterizzato da pascoli, alpeggi, laghi, boschi, cave e valichi si possono ammirare i maestosi ghiacciai del Disgrazia, del Bernina e dello Scalino. Nonostante la buona segnaletica, composta da triangoli o scritte di color giallo con i numeri delle tappe, l' Alta Via non è una semplice passeggiata ma richiede un discreto sforzo fisico e una buona preparazione. Ci sono infatti alcuni tratti che non devono essere affrontati con superficialità, ma con un equipaggiamento da montagna, comprendente picozza e ramponi. Prudenza e attenzione sono comunque qualità richieste a tutti; i pochi incidenti capitati sono successi soprattutto per sbadataggine. Le difficoltà maggiore si hanno il sesto giorno nel quale vi è l'attraversamento della Vedretta di Caspoggio (m 2983) tra i rifugi Marinelli e Bignami. L'allenamento è comunque consigliato per le tappe più impegnative. Siccome si toccano quote attorno ai 3.000 metri l'Alta Via risulta effettuabile solo nei mesi estivi.

L’attività estrattiva

Le principali attività minerarie della valle sono quelle, in passato legate all’amianto, ora bandito per la sua pericolosità e alle “piode”, sezioni squadrate e sottili di serpentinoscisto, utilizzate in edilizia per la copertura dei tetti, ora spesso sostituite da molti altri materiali e poi quelle dell’estrazione del talco (Cave Fabi), del serpentino e dello gneiss o beola, pietre utilizzate come componenti nell’industria o come materiale decorativo assi rinomato e utilizzato in moltissimi settori dell’edilizia in Italia e all’estero. Connessa sempre alla presenza in valle delle cosiddette pietre verdi, serpentinoscisti o talcoscisti, è l’attività artigianale che ha trovato nella pietra ollare, particolare pietra tenera (cloritoscisto dell’Alpe Pirlo o talcoscisto della Val Brutta), adatta per la lavorazione al tornio, l’elemento determinante; la facilità di lavorazione e le particolari proprietà del materiale che non è soggetto a rottura quando sottoposto ad alte temperature ed inoltre è in grado di mantenere il calore per lungo tempo, hanno rappresentato i fattori fondamentali per lo sviluppo di numerose attività commerciali (ora sopravvivono in valle pochissimi artigiani che ancora si dedicano a questa attività tra cui Silvio Gaggi) legate alla lavorazione e vendita di pentole e recipienti usati fin nell’antichità per cucinare i cibi e per conservarli nel modo migliore.

Candida Lena Perpenti e la storia dell’amianto

Come ricorda Battista Leoni in una sua ricerca del 1955, l’amianto era ricercato e tessuto, fin dall’antichità, in Estremo Oriente, in India, in Egitto e già Plinio il Vecchio lo citava nella sua “Storia naturale” ricordando come le salme di certi re venissero avvolte in tele d’amianto prima di essere poste sul rogo, in modo che le ceneri non si mescolassero ai resti della pira e potessero, a cremazione avvenuta, essere raccolte in urne. Il merito però di avere fatto rinascere l’antica tecnica di filare l’amianto spetta a una donna valtellinese, nata a Gordona nel 1764, la prima che riuscì nuovamente ad ottenere dalla fibra d’amianto quel filo che era indispensabile ad una lavorazione artigianale o industriale; sembra che il suo interesse fosse stato suscitato dall’aver visto, in un museo di Como, un fuso, proveniente dagli scavi di Ercolano, sul quale era avvolto proprio del filo d’amianto. Così Elena Candida Medina Coeli Perpenti, dopo lunghe ricerche, nel 1806, confezionò con la fibra del minerale, un primo paio di guanti che venne poi donato al principe Eugenio di Beauharnais. Le riuscì anche di fabbricare della carta sulla quale, presso la cartiera Cariani di Ponte in Valtellina, nel 1807, furono stampati due sonetti per augurare il felice capodanno al principe Viceré ed alla principessa Viceregina. Nel 1816 la tipografia Ostinelli di Como stampò su carta d’amianto, “L’eccidio di Como” del Rezzonico e Candida Lena Perpenti ne donò copie alla Biblioteca Vaticana, all’Ambrosiana, a quelle dell’imperatore d’Austria e dell’Istituto di Francia, oltre che ad Alessandro Volta, suo caro amico. Fu proprio Alessandro Volta infatti che si occupò di Candida Lena Perpenti, nella sua veste di membro della Commissione per le Invenzioni, in particolare quando, nel 1805 venne emesso un decreto che accordava premi a quanti si si erano distinti come inventori. Nell'esercizio di questo compito toccò a lui stendere una relazione sull’invenzione di Candida Lena Perpenti, descrivendo in modo dettagliato la procedura per la tessitura dell'amianto, cosa che fino a quel momento si aveva notizia avvenisse solo in Siberia e in qualche Paese orientale, vantandone i benefici e saggiando il tessuto sul fuoco per stabilire se perdeva consistenza o cangiava colore. Flaminio Benetti, in un articolo comparso alcuni anni fa sull’annuario del C.A.I., ricorda che la produzione della Valmalenco resta minima fino al 1860 ed ancora a livello artigianale. Solo in quell’anno infatti, per iniziativa del Marchese di Baviera, allora capitano presso le guardie pontificie, sorse una prima società per lo sfruttamento dell’amianto valtellinese. Nel 1878 la produzione raggiungeva già i mille quintali annui, con un impiego di più di cinquecento operai. Già però nel 1885, l’introduzione sul mercato dell’amianto canadese, fece precipitare i prezzi e le cave della Val Malenco vennero temporaneamente chiuse per tornare, prima del blocco definitivo dell’attività, ad una produzione di 200 quintali annui con l’impiego di ottanta-novanta operai. Nel 1937 all’esposizione internazionale di Parigi l’amianto il cui nome più corretto è crisotilo, era presentato come “l’unico minerale con cui sia possibile fare nodi”. Il definitivo abbandono venne sancito, dopo la legge 257 del 1992 ma fino a questa data l’estrazione dell’amianto restò sempre una delle attività tipiche della Valle del Mallero ed ancora oggi può, tramite la rivalutazione delle cave e di alcuni itinerari che si sviluppino attraverso le vecchie miniere, costituire motivo di ricchezza per una valle che ha bisogno di trovare una via alternativa alla monocultura dello sci. Ricordiamo a questo proposito che è attualmente in corso di realizzazione un progetto, promosso dal Comune di Lanzada, che prevede, la prossima apertura di un vero e proprio ecomuseo o museo etnografico all'aperto con itinerario in galleria che prevede appunto il riutilizzo delle miniere di talco della "Bagnada" (il talco è un altro dei principali minerali che vengono estratti in valle), il cui imbocco è situato a fianco della famosa località mineralogica del dosso dei Cristalli”. Ancora in fase di studio da parte del Comune di Chiesa è poi quello che riguarda il cosiddetto “Ciudè” zona mineraria situata appena sopra il paese, di fronte alla cava del Dosso dei Corvi, dove è presente un reticolo sotterraneo di gallerie in cui per secoli si è estratto il serpentinoscisto necessario alla produzione delle piode.

Musei mineralogici della valle

Nel 1991 è stato costituito a Sondrio, per ricordare la figura del prof.Fulvio Grazioli, illustre collezionista e studioso della mineralogia malenca, l’Istituto Valtellinese di Mineralogia, con sede presso Palazzo Martinengo in via Perego (ingresso da via Dante), associazione, che intende dedicarsi allo studio della geologia e mineralogia della valle e grazie alla quale si è creata una sezione staccata dedicata alla collezione del noto ricercatore, messa gentilmente a disposizione degli studiosi e appassionati grazie alla disponibilità della famiglia (per approfondimenti sui minerali della val Malenco si consiglia di visitare a Sondrio presso il palazzo Martinengo, l’esposizione permanente per orari di apertura rivolgersi al Museo di Storia e Arte di Sondrio-palazzo Sassi tel.0342/213258). Fulvio Grazioli nel corso della sua vita ha rinvenuto almeno 25 minerali nuovi per la Valmalenco: Aeschynite-(Y), Apofillite, Ardennite, Babingtonite, Brochantite, Brookite, Bursaite, Calzirtite, Cerussite, Corindone, Crisoberillo, Farmacolite, Fluorite, Heulandite, Laumontite, Lizardite, Marcasite, Mesofite, Microlite, Millerite, Monazite-(Ce), Nakauriite, Tiragalloite, Xenotime-(Y), Zircone. Tre di queste specie, Calzirtite, Nakaurite e Tiragalloite, quando furono scoperte, erano sconosciute alla scienza. Purtroppo Fulvio Grazioli non ebbe l’opportunità di affidarle ad uno studioso in grado di definirne la natura, prima che fosse compiuta l’analisi e lo studio su minerali identici rinvenuti successivamente altrove. Nel corso del 2000 è stato ufficialmente inaugurato a Chiareggio un parco geologico, attraversando il quale, senza spostarsi da Chiareggio, il visitatore può rendersi perfettamente conto della conformazione geologica dell'intera valle (Vedi scheda allegata). A Bormio è da visitare il bel Museo mineralogico e naturalistico creato con grande passione da Edy Romani, dove accanto alle sale dedicate alla fauna locale si possono ammirare non solo i minerali dell'Alta Valle ma anche campioni provenienti da tutto il mondo. A fine 2004, sono state inaugurate tre nuove sale espositive del Museo della Valchiavenna, dedicate a flora-fauna e mineralogia, che si aggiungono al Parco del Paradiso (Giardino archeologico-botanico) e sono ora visitabili su richiesta e prenotazione (per informazioni rivolgersi al Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna in Via Consoli Chiavennaschi 11 a Chiavenna- tel. 0343/57039). A Morbegno ha sede infine il più grande museo scientifico provinciale e uno dei più importanti della Lombardia, il Museo Civico di Storia Naturale, istituito nel 1974 grazie all'impegno di un appassionato naturalista locale: Giacomo Perego, ricercatore distintosi soprattutto nei settori dell'entomologia e della mineralogia. A metà dicembre del 2004, per ricordare i trent'anni di vita dell'Istituzione, si è inaugurata una nuova sala dedicata agli insetti della provincia di Sondrio.

Parco Geologico della Valmalenco

Nel 1996 a Chiareggio è sorto il Parco Geologico della Valmalenco. Allestito all'aperto, è costituito da tre sezioni, tutte vicine e comodamente visitabili. L'area di visita ha un itinerario breve, ma sufficiente a impegnare diverse ore o anche un' intera giornata. Un'introduzione illustra i movimenti e le deformazioni della litosfera terrestre, l'assetto geologico della Valmalenco (nel quale è possibile riconoscere la struttura dell'edificio alpino fino a livelli profondi) e le rocce presenti in valle. L'itinerario petrografico consente di osservare tutte le ere geologiche camminando tra le rocce di diversa natura poste sul sentiero con targhette esplicative (circa una sessantina). La successione dei campioni lungo l'itinerario è stata concepita come un viaggio ideale attraverso i due involucri più esterni della Terra, che sono stati coinvolti nell'orogenesi alpina e che sono ben rappresentati in Valmalenco: la Crosta Terrestre e il Mantello Superiore Terrestre. L'ultima sezione del parco comprende due panoramiche geologiche che riproducono paesaggi reali, visibili alle spalle del paese, evidenziando la diversa origine rocciosa dei rilievi. Come corollario alla visita del Parco è opportuna una visita alla Collezione Mineralogica Grazioli, l’esposizione dei minerali più significativi della Valmalenco, allestita presso lo storico Palazzo Martinengo a Sondrio.

Per informazioni:
Ufficio turistico Valmalenco
Chiesa - Caspoggio – Lanzada
Via Squadrani 1 - 23023 Chiesa in Valmalenco (SO)
Tel. +39 0342 451150 - Fax +39 0342 452505
E mail: infovalmalenco@provincia.so.it





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