A proposito di corna...



Non vogliamo parlare di Isola dei famosi o della bella Belen Rodriguez, né di corna più o meno metaforiche, ma di corna vere e proprie che sono quelle che stanno sulla testa di quei bellissimi animali che sono i cervi. Ogni anno infatti, a inizio inverno si ripropone il tormentone del “sacro macello” dei cervi nel Parco dello Stelvio, che già così a freddo sarebbe una contraddizione di termini in quanto tutti si aspetterebbero che in un Parco naturale oltretutto del livello del Parco dello Stelvio, tutto si facesse meno che andare a caccia di cervi. Purtroppo così non è in quanto che il supposto sovrapopolamento (secondo le associazioni ambientaliste non è stato fatto alcuna verifica scientifica su questo punto,la cosiddetta VAS o Valutazione ambientale strategica) originando la continua disputa tra privati e Parco per quanto concerne i danni provocati dalla fauna del Parco alle coltivazioni e alle auto per incidenti provocati dall’attraversamento di strade da parte di cervi, caprioli, camosci, quasi obbliga a far fissare al Parco dei piani di abbattimento di massa, si parla addirittura di 600 esemplari in tre anni, incaricando di questo bel compito, chi? le guardie forestali ? ma no addirittura proprio i cacciatori che ben felici di questo regalo si vedono addirittura abbassare il già modico prezzo per capo, proporzionalmente al numero di capi che si ammazzano, più se ne accoppano meno si pagano; d’altra parte i cacciatori sono senza dubbio i migliori amici del Parco, anzi di tutti parchi, a sentire loro i difensori della natura per eccellenza; infatti come si sa essi si occupano, oltre che della pulizia etnica (della fauna cioè) anche di molti altri tipi di pulizie come della pulizia delle cartacce nei boschi o dei fiumi, tutte operazioni che li dovrebbero trasformare in eccellenti ecologisti. Il Parco ha dichiarato che ogni anno già muoiono di morte naturale centinaia di capi, per cui già la natura fa il suo corso, ma evidentemente questo non basta e allora via libera alle doppiette. Sembrava che negli anni passati si fosse arrivati ad una soluzione di compromesso con le organizzazioni ambientaliste tra cui il WWF che si sono duramente opposte a questa iniziativa, per cui i capi in sovrappiù sarebbero stati catturati vivi e poi prelevati da enti vari, associazioni, parchi che ne avessero fatto richiesta e che ne necessitavano per ripopolare i loro territori. Purtroppo dopo alcuni casi di prelevamento di questo tipo da parte di enti della Val Camonica e del Bergamasco, si è ritornati al vecchio ed evidentemente più redditizio sistema dell’abbattimento. Agli inizi di novembre è comparso su La Provincia settimanale anche un articolo di Giovanni Bettini, intitolato “Una kermesse di fucilate che non serve”, che sosteneva l’inutilità di questa ecatombe di cervi, suffragando il fatto con esperienze precedenti, anche nel vicino Alto Adige che non hanno ottenuto i risultati auspicati e augurandosi che iniziative come il nutritissimo workshop recentemente tenutosi a Morbegno, sulle “Ricerche naturalistiche in Provincia di Sondrio”, facciano comprendere l’importanza di una incisiva entrata dei saperi naturalistici nelle equilibrate scelte di gestione del nostro territorio. Il problema non tocca soltanto il Parco dello Stelvio e i cervi, ma è un problema che riguarda il modo assolutamente sbagliato in cui in Italia il problema caccia è sempre stato gestito, delegando ai cacciatori stessi la gestione del problema e quindi anche gli stessi controlli sulla loro attività: i controllati sono in pratica gli stessi controllori. Secondo il parere degli ambientalisti, e soprattutto secondo quanto afferma il Fondo Mondiale per la Natura, i cacciatori, nemmeno quelli cosiddetti esperti, possono essere delegati a gestire la fauna, il territorio e l’ambiente: i fatti che accadono tutti i giorni e la situazione di estremo disagio, dimostrano l’esatto contrario. Il Wwf ritiene ormai raggiunto il limite di una gestione politica del settore nel quale è stato dato un credito illimitato al mondo venatorio esclusivamente per ragioni di consenso e per aiutare l’industria delle armi, senza mai considerare per esempio il settore agricolo minacciato dagli interessi economici legati a un esercizio venatorio che, insieme alla sola Grecia, ci vede l’unico paese in Europa in cui il cacciatore armato ha accesso ai terreni agricoli privati senza dovere chiedere il permesso al proprietario. Purtroppo in tutta Italia come anche in provincia di Sondrio proprio ai cacciatori viene delegato il compito della predisposizione dei piani caccia e di fissare il numero di capi da abbattere (come si può pensare che i cacciatori vogliano auto ridursi il numero di prede?). Per non parlare poi delle squadre di cosiddetti “rangers” scelti con grande perizia e acume dalla Provincia, che dovrebbero provvedere a ridurre il numero dei cinghiali, delle cornacchie, delle volpi e delle gazze ritenuti tutti nocivi per l’agricoltura valtellinese, in cui ogni anno guarda caso si trova sempre qualche nome di bracconiere colto con le mani nel sacco a cacciare in periodi non consentiti o di notte con mezzi proibiti. Grave e ingiustificato viene anche ritenuta la richiesta di alcuni amministratori comunali che hanno proposto di sparare al cinghiale tutto l’anno; si propone invece in questo caso un sistema già adottato con successo in regioni come Umbria, Emilia e Toscana, in cui il problema è molto più sentito che in Valtellina e dove si utilizzano per la cattura trappole gestite in collaborazione con gli agricoltori a cui viene poi lasciato il valore economico delle catture in cambio dei danni subiti. A conferma del fatto che anche tra gli stessi cacciatori si comincia a vedere qualche spiraglio, quest’anno si è verificata una piccola rivolta di una parte dei cacciatori valtellinesi contro decisioni, evidentemente prese senza il loro consenso, che autorizzavano l’apertura della caccia agli ungulati addirittura nel periodo degli amori, ritenuto sempre sacro anche dai cacciatori che non sono certo degli autolesionisti. Già si permette di cacciare femmine e piccoli e addirittura specie come la pernice bianca che è stata in passato quasi azzerata e ora si è perfino arrivati a rompere dei tabù andando contro il buon senso e contro ogni minima ragionevolezza. Si può quindi ben capire, a parte il fatto che in Italia se non addirittura chiusa, la caccia andrebbe regolamentata e limitata a casi particolari, che il problema andrebbe risolto dalle radici cambiando completamente un modo di pensare e di gestire le cose, impostato male e addirittura ridicolo (sarebbe come se si affidasse la gestione dei sistemi di sicurezza delle banche agli stessi rapinatori). Certo è che è addirittura paradossale che un Parco Nazionale ogni anno arrivi a estremi rimedi come lo sterminio di massa di quella popolazione faunistica che dovrebbe essere la sua prima ricchezza, da amare e proteggere con ogni mezzo, affidandone poi il compito proprio ai cacciatori, dando così oltremodo adito a mille congetture e sospetti. E’ possibile che non si trovino altri sistemi per conciliare in modo meno cruento le finalità del parco con quelle della popolazione?





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