Considerazioni sul significato del paesaggio



Il 10 luglio 2009 presso la Sala Vitali di Sondrio si é tenuto un Convegno organizzato dall’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Sondrio, dedicato al tema “Costruire il paesaggio. Dialogo per il territorio valtellinese” mentre già nelle giornate del 5-6-7- giugno 2008 si era svolto a Bormio, presso la Sala Conferenze delle Terme un importante seminario dal titolo: “ Tutela e valorizzazione del paesaggio alpino”, organizzato dal Comune di Bormio e dall’Associazione Culturale Terraceleste, sotto la direzione scientifica di Luisa Bonesio, professore associato di estetica presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia e docente di Geofilosofia. Durante il Seminario grande rilievo è stato dato alla Carta di Sondrio, redatto nel 1986 a Sondrio, alla fine del Convegno organizzato dal Centro culturale Don Minzoni,“La montagna: una protagonista dell’Italia degli anni ‘90”. Questi importanti e recenti avvenimenti ci danno l’occasione prendere in esame questo tema riportando alcuni significativi brani tratti da un articolo di Luisa Bonesio, comparso sul notiziario della Banca Popolare di quest’anno e ripescandone alcuni altri da un articolo comparso sul Corriere della Valtellina e da una conferenza sul paesaggio nella pittura tenuta presso il Rotary Club di Sondrio nel giugno del 1954 e nel marzo del 1961 da Livio Benetti. Lo scopo è quello di mettere ancor più in evidenza, nel caso ce ne fosse bisogno, la posizione centrale che il problema del paesaggio ha sempre occupato, sia nell’arte ma anche nella vita comune di ciascuno e inoltre, l’importanza fondamentale di una corretta gestione del territorio affinché questa ricchezza che ci è stata donata non venga stupidamente buttata al vento. Abbiamo poi pensato di corredare il testo con alcune immagini di opere di paesaggio dell’artista e da alcune fotografie di paesaggio italiano ed estero, mettendo anche in evidenza in alcune, come il paesaggio locale può essere deturpato da quell’esiziale mix fatto da tecnici insensibili e amministrazioni ottuse.

**** Così Livio Benetti ci introduce al tema nella sua conferenza del 1961: […] Il «Paesaggio» non rappresenta solo una constatazione sensoriale che ci allieta le passeggiate domenicali, ma anche un fatto di cultura. Prima di essere tema trattato in un quadro il paesaggio è una nostra visione particolare del mondo che tende a diventare sempre più soggettiva man mano che la nostra coscienza si arricchisce di immagini. Ad un certo momento diventa come un catalizzatore di questa nostra coscienza e ci permette come di scoprire qualcosa dentro di noi, del nostro essere nascosto o subcosciente; di quella aspirazione profonda alla libertà di spaziare, muoverci, respirare, essere sempre più noi stessi. Ci fornisce come una liberazione psicologica che ci arricchisce di giovinezza. In questa direzione si è mosso in passato sul finire del secolo trascorso, tutto un movimento del pensiero verso la natura, che ha avuto aspetti filosofici, pedagogici, sociali ed artistici. Anche il movimento socialista agli inizi, tutto imbevuto a volte di aspetti di lirismo romantico si proiettava verso la natura, e da questa vaga aspirazione di un umanitarismo naturale sono sorti i sodalizi escursionistici e alpinistici che avevano una finalità anche formativa e di affratellamento degli uomini. La fiducia illimitata nell’Alpe come «Fontana di Giovinezza» (Lammer) è stata una delle innumerevoli fedi nate da questo clima […] E così sempre Benetti ritorna sul tema nel suo articolo su “Il paesaggio italiano” pubblicato sul Corriere della Valtellina nel lontano 1954: […] Che cosa c’è di più suggestivo e immediato come emozione, di un bel paesaggio? Qualcuno, pensa, si commuove, si sente artista persino, al contatto visivo e alla ridondante affluenza di emozioni che nell’animo suggerisce la partecipazione passiva ma intima agli spettacoli della natura. Un rosso tramonto, un’alba luminosa, fra le nevi e l’iridato saettare dei raggi vibranti del sole, che riscopre dalle ombre cupe una realtà così nitida e sempre nuova. Tutto un mondo di ideali e di entusiasmo che ha trascinato sui monti generazioni di giovani e che alimenta continuamente fiumane di turisti, che amano questa bellezza della natura e che in essa soddisfano una inconscia necessità di conforto intimo, nell’appagamento di una coscienza positiva di sé stessi che la natura nella sua bellezza generosamente blandisce e rinnova come una inesauribile fonte di giovinezza. E invece codeste emozioni sono così lontane dal fatto artistico, che chi, come sovente succede, cerca e richiede all’arte un surrogato di tutto questo, come in una specie di servizio igienico, in scatola a domicilio, che porti queste piacevoli godurie in ogni momento, sempre a portata di mano, si trova generalmente con un pugno di mosche, con un rancido sentore di stantio[…] […]E’ la creazione del pittore-artista quella che ci dona l’emozione di prima mano, il fatto che nei segni, nei colori, nelle forme create sulla superficie del quadro, l’artista ha inserito un’anima che parla attraverso le immagini e ci racconta, innanzitutto dell’artista, della sua personalità, della reazione di questa alle emozioni suggerite in lui dalla natura alla quale si è momentaneamente affidato e abbandonato per trovare un catalizzatore che gli permetta scioltamente di estrinsecare sé stesso e di affermare per ciò stesso la sua indipendenza dal mondo naturale e una più reale individualizzazione della sua coscienza di essere qualcuno[…] Nel 1987, anno della morte di Livio Benetti, compare su Quaderni Valtellinesi, una sintesi significativa del suo pensiero che vedeva come inscindibile il connubio tra sviluppo turistico, cui si è dedicato per anni come Presidente dell’EPT e sviluppo culturale delle popolazioni delle nostre valli, nel rispetto del paesaggio, della storia e delle tradizioni : “Io penso proprio che, senza l’intervento del lavoro dell’uomo, la fisionomia del nostro paesaggio sarebbe molto diversa in senso peggiorativo. I pascoli, spesso abbandonati in questi ultimi anni, non avrebbero fruito della secolare bonifica dei sassi operata dai padri, torrenti e sorgenti non sarebbero regolari nel loro corso e frane ovunque occuperebbero le erte costiere dei vigneti. Bisogna ridare un senso nuovo e moderno al permanere della vita dell’uomo a quelle quote alte del nostro territorio, che rappresenta il settanta per cento dell’area che siamo destinati ad abitare. Sposare l’agricoltura con il turismo. Credere nel proprio paese significa anche non abbandonarlo, ma investirvi tutte le risorse disponibili per migliorarne l’economia, il livello di cultura ed aprirlo alle possibilità esistenti d’incontro e fraternizzazione con altra gente, che può fruire delle potenzialità ambientali della montagna e beneficiare del contatto con una civiltà alpina, che, se vuole, ha ancora molto da insegnare ad una civiltà dei consumi che si sta consumando in sé stessa in un vano rincorrersi e mangiarsi la coda. Rispolverare entro di noi, le valide tradizioni e ritrovare noi stessi, specchiandoci nella nostra storia, nei nostri statuti, nelle tradizioni di autonomia e libertà. Questa è la premessa per vaccinarci preventivamente dai pericoli di un inconsulto e indiscriminato germinare di iniziative speculative e disordinate, ma gestire con criterio uno sviluppo turistico che è condizione necessaria alla sopravvivenza di una economia agricola e artigianale come la nostra, che non può produrre a prezzi competitivi con economie più favorite dall’ambiente naturale e dalla posizione geografica… Penso che fondamentale sia l’elevamento del livello culturale della popolazione e la creazione e gestione di centri culturali autoctoni, anche a livello universitario per lo studio dei nostri problemi e la maturazione di idee per la loro soluzione.”

**** Nel convegno del 2008 cui abbiamo accennato sopra e in occasione di un seminario dedicato ai professionisti che si occupano direttamente o indirettamente di paesaggio, insegnanti, tecnici e amministratori del territorio, Luisa Bonesio, dal suo punto di vista di docente di estetica, ritorna sul tema: […] Da più parti è stato notato come il tabù sulla bellezza sia diventato, nel passaggio dalla riflessione e dalla critica dei modelli estetici alla progettazione effettiva degli edifici, degli insediamenti e dei territori, un alibi e una giustificazione per la distruzione di forme, misure, contesti di vita che avevano mostrato una secolare validità comunitaria, etica ed estetica. Più che una semplice trasformazione di paradigma critico ed estetico, sono stati la crescente riduzione del progetto architettonico e urbanistico all’algebra tecnica, che tendenzialmente rescinde il nesso materico, simbolico, tradizionale dell’edificare, con il contesto locale, da un lato, e l’esponenziale aumento delle possibilità di consumo di prodotti (materiali, simbolici e culturali) e di stili di vita a partire dal secondo dopoguerra, dall’altro, a provocare un rapido imbarbarimento del paesaggio e delle città italiane, denunciato con vigore – ma in un pressocchè totale isolamento - da alcuni intellettuali italiani (Antonio Cederna, Rosario Assunto, Pier Paolo Pasolini,, Guido Ceronetti) […] Ciò che troviamo dunque, in concreto non è un astratto ideale di bellezza o la sua intellettualistica negazione, ma una vicenda storica e culturale di abbandono e di degrado in nome di disordinate spinte modernistiche che hanno in qualche modo “giustificato” speculazioni edilizie, sciatteria della gestione territoriale, logiche privatistiche e appropriative, mancanza di chiare norme regolative in nome della libertà di iniziativa e della insindacabilità del gusto individuale. In questo contesto si è perniciosamente fatta sentire la mancanza di un’adeguata e condivisa concezione di che cosa sia il paesaggio: non tanto rappresentazione artistica o immagine meramente soggettiva di una “veduta” (come pure era scritto nelle leggi che avrebbero dovuto tutelarlo), bensì come natura messa in forma estetica e funzionale dall’uomo, creazione collettiva in cui forme di realizzazione non sono soltanto genericamente storiche, ma più profondamente costituiscono, per chi le voglia e le sappia leggere, la fisionomica specifica di una cultura…. Quello a cui ci troviamo di fronte quotidianamente, in ogni angolo del territorio, è per lo più un coacervo di edifici, strutture, oggetti e segni eterogenei, occasionali, contraddistinti da logiche formali e funzionali differenti, in una ridda di segnali che producono cacofonia estetica, disorientamento percettivo, difficoltà di riconoscimento dell’insieme […] Tutti comportamenti singoli e collettivi, privati e pubblici che generano senza tregua una caoticizzazione formale degli spazi, alla grande come alla piccola scala, operando nei fatti la trasformazione dei luoghi, un tempo dotati di identità, relazionalità e memorialità - in cui era possibile un consapevole abitare – in non luoghi, spazi di mera funzionalità e transito di cui si è tutt’al più utenti deresponsabilizzati […]

**** Una svolta verso un radicale cambiamento di impostazione delle politiche territoriali sul tema “Paesaggio” inteso come patrimonio identitario e storico, ma anche, in quanto tale, come patrimonio fonte di duratura, ricchezza economica, dovrebbe essere portata dalla Convenzione europea del Paesaggio (2000), che interpreta il paesaggio come un “bene immateriale” da riconoscere indipendentemente e dai caratteri, dalla qualità, dal grado di interesse pubblico e esattamente all’articolo 6 prevede azioni permanenti di educazione, sensibilizzazione e formazione a tutti i livelli nell’ambito di un progetto integrato e lungimirante di gestione, tutela e valorizzazione. In particolare sull’offerta turistica si insiste sulla sua riqualificazione verso obiettivi sostenibili e diversificati tra beni storici, archeologici, rurali, geologici, termali e sempre in ambito culturale con iniziative a largo respiro che devono a loro volta diventare attrattive turistiche. Per quanto riguarda le comunità locali grande importanza viene data al senso di appartenenza e alla responsabilità verso la dimensione collettiva del territorio e dei suoi valori storici e ambientali, ma non solo e infatti all’art.23, grande rilievo viene dato al benessere dei cittadini che non possono più accettare “di subire i loro paesaggi, quale risultato di evoluzioni tecniche ed economiche decise senza di loro. Il paesaggio è una questione che interessa tutti i cittadini e deve venire trattato in modo democratico, soprattutto a livello locale e regionale”.





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