L’orizzonte montano


La fascia bassa del castagneto è inframmezzata dalla presenza di betulla (Betula alba), pino silvestre (Pinus silvestris), pioppo tremulo (Populus tremula), larice (Larix decidua), peccio (Picea excelsa); essa prelude alle serie vegetazionali che caratterizzano l’orizzonte montano, dal querco-tiglieto al querco-betulleto, dall’acero-frassineto, al faggeto propriamente detto.
Per quest’ultimo caso ci soffermeremo ad annotare come tale tipo di foresta abbia subìto, in provincia di Sondrio, vicissitudini particolari anche in seguito alle alterazioni apportate dall’uomo. I più bassi faggeti, che si trovano pur sempre nella parte superiore della fascia dei boschi montani di latifoglie, sono quelli di Morbegno (700 m.), di Delebio (1200 m.), e delle valli sopra Novate Mezzola(1300 m.).
In genere si tratta di boschi frammentari, con la sola eccezione della foresta di S.Martino di Val Masino, dove grazie ad una particolare situazione microclimatica, il faggio (Fagus silvatica), si è sviluppato con piante di dimensioni enormi (Vedi censimento degli alberi monumentali della Provincia: l'albero monumentale per eccellenza della provincia è risultato essere l'abete bianco di Vesenda, in quel di Bema, con i suoi 575 cm di circonferenza del tronco e ben 39 metri altezza) e con un sottobosco particolarmente unificato. Recenti ritrovamenti confermano la presenza nella foresta di San Martino, di una rara quanto protetta specie di coleottero cerambicide, la Rosalia alpina, la cui larva si sviluppa nelle grosse ceppaie di faggio (Vedi Abstract: Dioli P.Penati F. Viganò C. da Il Naturalista Valtellinese 1995 n.6). Dopo che l'Ersaf, il braccio operativo della Regione Lombardia in materia di agricoltura e foreste, è riuscito ad ottenere parere positivo dal Comune di Valmasino per trasformare questo bellissimo biotopo in una vera e propria riserva naturale si spera ora che, predisposta la documentazione tecnica necessaria e completato l'iter di approvazione, si passi alla fase attuativa come da protocollo d’intesa del 2008.
Ma i boschi più caratteristici dell’orizzonte montano sono indubbiamente quelli di pino silvestre (Pinus silvestris) ed erica (Erica carnea) presenti in modo discontinuo sino al bormiese, ma talora particolarmente estesi in alcune zone (Poira in comune di Mello).
Più rari e localizzati ma di certo non meno belli sono i boschi di abete bianco, ( 1 - 2) albero abbastanza comune in val Gerola, dove in alcuni casi è in grado di raggiungere dimensioni notevoli (vedi abete bianco di Vesenda già citato).
Per quanto concerne la situazione dell'ambiente montano, sempre più preoccupanti appaiono le notizie relative al rischio ozono in alta quota: Legambiente, dopo una prima campagna di misurazioni, effettuata nel corso del 2002 e ripetuta negli anni seguenti in collaborazione con il CAI, ha confermato la gravità del fenomeno. Le concentrazioni rilevate, in varie zone tra cui la Valtellina, vanno tra i 35,8 e i 122,0 microgrammi al metrocubo alla quota di 500 m, fino agli 81,7 e addirittura 164,6 microgrammi alla quota di 1400 m; si ricorda che le soglie di tossicità per la vegetazione sono fissati orientativamente a 65 microgrammi al metro cubo e per la salute umana a 110. Si pensi che, a partire e durante, le calde estati succedutesi dopo quella torrida del 2003, le stazioni di rilevamento dell'Arpa, hanno fatto segnare nella zona di Delebio, picchi storici come i 296 microgrammi al metro cubo, solo 4 microgrammi sotto la soglia dei 300, oltre la quale la salute di tutti è in serio pericolo.
Nei boschi di mezza montagna si possono ammirare il Dyanthus (Dianthus superbus) e la Saponaria ocymoides , oltre alla Clematide (Clematis alpina), avvinghiata in genere ai rami di altre piante a cespuglio.
Fiori caratteristici dei pascoli di mezza montagna sono le primule (Primula veris), le genziane blu (Gentiana kochiana - G. bavarica), i crochi primaverili (Crocus purpureus e versicolor), il non ti scordar di me (Myosotis) e i colchici autunnali (Colchicum autumnale). Più rare sono liliacee come la Paradisia (Paradisia liliastrum) presente anche al limite tra il bosco e il pascolo attorno ai 1800 m.
Tipici di tutta la fascia che va dai 1500 fino ai 1800 m. sono l’epilobio (Epilobium angustifolium), pianta infestante dai caratteristici fiori di color rosa intenso e il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia) dalle caratteristiche bacche rosso fuoco, mentre tra i frutti del sottobosco( 1-2 ) vanno citati per la loro importanza anche commerciale, la fragola (Fragaria vesca), il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), il mirtillo rosso (Vaccinium vitis idea) e la pianta del ginepro (Juniperus communis) con le sue bacche aromatiche usate per la preparazione di liquori, amari e digestivi (per la normativa riguardante la tutela della flora spontanea , vedasi apposito sito della Provincia di Sondrio).
Infeudata alle Orobie e praticamente endemica della zona del lago di Scais è la Sanguisorba dodecandra, (1 - 2) pianta dai caratteristici fiori allungati color giallo chiaro, scoperta dal medico valtellinese Massara ai primi dell’800.
Gli umidi boschi del versante orobico abbondano, anche alle quote più elevate, di funghi delle più svariate specie:accanto ai ricercati boleti, abbastanza comuni sono, nei prati di maggenghi e alpeggi, le cosiddette orecchine o finferli (Cantharellus cibarius) e le vesce appartenenti al gruppo dei Lycoperdon.
I licheni dei generi Cladonia e Stereocaulon (Vedi Abstract :G.Rivellini, M.Valcuvia, I licheni appartenenti ai generi....da Il Naturalista Valtellinese 1996 pp.3-32) sono diffusi in varie zone del territorio montano valtellinese, sia a livello del terreno che sui tronchi delle conifere dei boschi, dai 1500 m. fino ai 2000 m. e la loro presenza è un utilissimo indicatore della salute del sottobosco e dell'ambiente in generale.
Nell'estate 2003 si è concluso uno studio iniziato nel 1999, promosso dalla Fondazione Fojanini di Sondrio e dalla Società specializzata Ecosfera, in collaborazione con la Provincia di Sondrio e la Cariplo, mirato a valutare l'andamento e la presenza dei licheni sia nelle aree urbane che extraurbane della provincia: I risultati hanno messo in evidenza come in alcune aree, localizzate attorno ai grandi centri, si possa ormai parlare di deserto lichenico, di ambiente quindi altamente inquinato, soprattutto da rame e zinco, elementi legati alla pratica agricola perché presenti nei fertilizzanti e dal cromo, presente soprattutto in prossimità di luoghi dove si pratica l'attività estrattiva.
Nella conca di Bormio si nota il passaggio tra l’erico-pineto e una associazione simile in cui al pino silvestre (Pinus silvestris) subentrano il pino mugo (Pinus mugo) e il cembro o cirmolo (Pinus cembra). Sui rami delle aghifoglie invase dai licheni sono state rinvenute interessanti specie di cimici microfisidi che si cibano di pidocchi (Psocidi) (P.Dioli.Microfisidi nuovi ecc. da Il Naturalista Valtellinese 3/92) .
La pecceta montana ad abete rosso (Picea excelsa) (paesaggio invernale di abetaia sopra Alpe Mara - fiori di neve in Val Grosina) è quella che presenta il maggior numero di variabili visto che vi si inseriscono nuove ericacee come il mirtillo (Vaccinium myrtillus) e parecchie felci. Si notano anche il rododendro (Rhododendron ferrugineum), il giglio martagone (Lilium martagon) e il cembro (Pinus cembra), specie la cui presenza aumenta più ci si avvicina alla vegetazione sub-alpina.
I boschi di abete sono inframmezzati, sia sul versante retico che su quello orobico, da Bormio fino al lago da vari alpeggi dove l'attività della transumanza che ha sempre caratterizzato nei secoli il lavoro del montanaro-allevatore, ha lasciato il suo segno negli insediamenti rurali: stalle, baite, costruzioni caratteristiche, in genere in pietra a secco e con i tetti ricoperti da grosse lastre di pietra che hanno costituito in passato e ancora oggi spesso costituiscono il ricovero per gli animali che in estate vengono portati in quota per il pascolo.
La torbiera di pian Gembro (Aprica-Villa di Tirano), pur avendo caratteristiche alpine si trova a quote più basse:tra le specie vegetali caratteristiche spicca la Drosera rotundifolia, tipica pianta carnivora o meglio insettivora, che cattura gli insetti grazie alle foglie particolarmente appiccicose (su pian del Gembro vedi anche siti ( 1- 2).
Caratteristici di questo tipo di bosco sono i grandi formicai della formica rufa ( links ai siti sull'argomento 1-2), considerata dagli etologi un utilissimo e fondamentale anello della catena eco-alimentare, in quanto sterminatrice di molti insetti nocivi al bosco (vi sono già stati casi in Valtellina, di trasferimenti pilotati di questi formicai in zone che ne scarseggiavano, come anche di vere e proprie depredazioni da parte di sconosciuti, segnalate poi sulla stampa locale).

Tra i rapaci diurni, sono presenti nelle peccete e nei boschi di mezza montagna anche il piccolo ma aggressivo sparviero (Accipiter nisus), il più grande astore (Accipiter gentilis) (questi due rapaci si spingono, soprattutto d'inverno anche a quote più basse fino alla pianura e sono facilmente confondibili, soprattutto il maschio dell'astore con la femmina dello sparviere), e il falco pecchiaiolo (Pernis apivorus).
Al Parco nazionale dello Stelvio è ancora stato osservato, sebbene sporadico, il gufo reale (Bubo bubo), segnalato recentemente anche all'imbocco della val Malenco, in Val Chiavenna e in altre zone, mentre recentissime segnalazioni del biancone (Circaetus gallicus) provengono dalla val Zebrù; l'albanella minore (Circus pygargus pygargus) è stata segnalata probabilmente di passo in valle della Manzina.
Sempre più rari sono altri due piccoli rapaci notturni, caratteristici delle foreste di conifere, la civetta nana (Glaucidium passerinum) e la civetta capogrosso (Aegolius funereus), di cui è stato raccolto in Valfurva nei primi mesi del 2004 , un bell'esemplare, ferito probabilmente dai fili dell'alta tensione; l'uccello è stato poi consegnato dalla Guardia forestale al Centro di recupero della Lipu di Bolzano, in vista di un probabile reinserimento in natura.
L’orizzonte montano valtellinese e valchiavennasco ospita specie animali significativamente orofile, tipiche delle zone meno elevate : tra queste indubbiamente interessanti sono il francolino di monte (Tetrastes bonasia rupestris),il gallo forcello (Tetrao tetrix) anche se la specie emblematica è il gallo cedrone (1)-(2) (Tetrao urogallus) (vedi Abstract: L. Valenti da Annuario Club Alpino Italiano 1995), certamente presente, con rari esemplari, nella fascia delle Orobie tra Albosaggia e la val Belviso e annoverato tra le entità del parco nazionale dello Stelvio, ma sempre più minacciato da escursionisti rumorosi, cercatori di funghi e cacciatori.
Nel mese di maggio 2005, in occasione della presentazione presso il Museo civico di Morbegno del volume "Il Gallo cedrone in Lombardia: biologia e conservazione" a cura di vari ricercatori coordinati da Guido Tosi, si è affermato che per evitare la scomparsa di questo meraviglioso animale dalle nostre montagne, è necessario passare dalla fase di studio agli interventi concreti sul campo. Le stime sulla consistenza della specie evidenziano che ormai le Orobie costituiscono l'unica area lombarda ancora abitata dall'urogallo con una decina di maschi e da 6 a 8 femmine su un totale di 13 maschi e circa 12 femmine, numeri che potrebbero ormai risultare inferiori a quella che si può definire una minima popolazione vitale.
Si rivelano quindi fondamentali esperimenti tendenti al ripopolamento come quello guidato da Bernardo Pedroni, che sono già in fase avanzata dopo avere inserito più coppie di galli cedroni all'interno dell'osservatorio eco-faunistico dell'Aprica. Ormai superate le fasi progettuale e attuativa che risalgono agli inizi del 2000, con l'inaugurazione dell’area riservata, adatta allo scopo e il proseguimento dell'attività di studio e ambientamento, si è ora giunti alla importante fase della riproduzione in cattività della specie.
A titolo di curiosità e a testimonianza della presenza del gallo cedrone in valle, riportiamo due curiose notizie apparse sulla stampa locale, secondo cui due bellissimi esemplari di gallo fotografati in tutta la loro fierezza, hanno soggiornato, il primo, nella primavera 2004 per alcuni giorni su un ramo di una pianta del paese di Samolaco, all'imbocco della Val Chiavenna, il secondo nella primavera 2005, all'interno di un'azienda con sede nel Tiranese, prima di essere catturati e liberati nei boschi vicini. Mentre può essere una buona notizia sapere che in valle vi sono ancora galli cedroni, appare senz'altro curioso e melanconico, anche se abbastanza comune nella stagione degli amori, che un animale tanto fiero perda l'orientamento così da essere costretto a rifugiarsi su un albero o in un cortile per così dire "cittadino" quasi fosse il compianto attore Ciccio Ingrassia, che in un famoso film, rifugiatosi in cima ad una pianta, gridava a squarciagola: "Voglio una donna".
Il bosco di larice misto a cirmolo e qualche raro abete è la dimora preferita di graziosi e simpatici uccelli come le cince : cincia bigia (Parus ater), cincia dal ciuffo (Parus cristatus), cincia mora (Parus montanus), l'organetto (Carduelis flammea), la nocciolaia (Nucifraga caryocatactes) che si nutre dei pinoli del cembro, il picchio muratore (Sitta europaea), il rampichino (Certhia brachydactyla) , il picchio nero (Dryocopus martius),che ama anche frequentare quote più basse, alla ricerca di cibo e spesso nidificare in grossi tronchi di ontano bianco e betulla (nel luglio 2004 è stata presentata, dal Consorzio Parco Orobie Valtellinesi,sia ad Aprica che a Teglio, la ricerca condotta dal dr A.Pirovano in collaborazione con il Wildbiologische Gesellschaft di Landeck (Austria): "Valutazione del picchio nero come specie guida nella conservazione della natura sulle Alpi") e infine il crociere (Loxia curvirostra) dal caratteristico becco "incrociato" (in dialetto locale bec in crus), anch'esso abitatore dei boschi di conifere.
Con un po’ di fortuna si può scorgere un cervo (Cervus elaphus) maschio sbucare curioso tra i rami del fitto della foresta, in tutta la sua prorompente bellezza e orgogliosa fierezza. Purtroppo questo animale è non solo ucciso molto spesso dalle auto che lo travolgono durante la sua stagionale discesa a valle, ma da cacciatori che lo braccano in tutte le stagioni. Nel corso del 2005 è da segnalare il ritrovamento, da parte delle guardie venatorie, in alta Val Malenco, valle ormai segnata in senso negativo per questi episodi di bracconaggio, di una grotta dove cacciatori senza scrupoli accumulavano i resti delle prede uccise per poi rivenderne la carne ai ristoranti della zona. Dopo il precedente del deprecabile decreto n. 19 emesso dal Presidente del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio che consentì l'abbattimento di 490 cervi tra il 15 ottobre 2004 e il 15 gennaio 2005, così ripartiti: 380 capi nella Media Val Venosta, 100 capi nell'Alta Val Venosta e 10 capi in Val d'Ultimo (357 abbattuti effettivamente prima del blocco deciso dal Consiglio di Stato), anche alla fine del 2008 e inizi del 2009 è ricomparso lo stesso problema con una proposta di abbattimento (tramite incarico a cacciatori cui addirittura si pratica uno sconto sulla carne dei capi abbattuti) di addirittura 1700 capi. Questo metodo di procedere davanti al problema della sovrapopolazione nell’ambito di un parco ha fatto insorgere le proteste degli ambientalisti ma non solo, dato che viola l'articolo 11 della Legge 394/91 sulle aree protette, che consente gli abbattimenti solo in caso di squilibri ecologici accertati, e l'articolo 19 della Legge 157/1992, ancora più restrittivo, che li consente solo dopo che sia stata accertata l'inefficacia dei metodi ecologici per evitare i danni. La disputa tra Direzione del Parco e ambientalisti arriva a rasentare il ridicolo quando durante l’estate 2009, i secondi (Wwf) proclamano come ormai acquisito il respingimento della richiesta da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare mentre i primi rispondono che il progetto prosegue tranquillamente e che mentre in Alto Adige si è già in avanzata esecuzione del piano, nella parte lombarda del Parco si attende solo che il Ministero dia il via all’operazione dopo avere ricevuto delle integrazioni della documentazione a suo tempo inoltrata. Ambientalisti e animalisti, avevano motivato la loro posizione contraria con il parere tecnico dell’Ispra (Istituto Superiore per la protezione e ricerca ambientale) che a sua volta aveva fatto proprie alcune delle motivazioni di carattere tecnico-scientifico avanzate a suo tempo anche da Wwf Italia.

Dopo anni di annunci, passi avanti e passi indietro, che facevano sperare, grazie anche alla opposizione di varie associazioni ambientaliste, in un ripensamento o almeno in una riformulazione dei metodi, è iniziata nei primi mesi del 2012, con i primi cento cervi abbattuti, tra cui anche femmine gravide e piccoli, l’attuazione del “Progetto cervo” studiato dal Parco Nazionale dello Stelvio. Le migliaia di pagine che costituiscono questo concentrato di studi scientifici, elaborazioni statistiche ed altro, tutte tendenti a dimostrare la sovrappopolazione di cervi nell’ambito del Parco e a coprirsi con tutti crismi della legittimità da eventuali rimostranze, non hanno come obiettivo quello di cercare qualche innovativo sistema di controllo delle nascite o a progettare un piano di trasferimento di capi in zone sottopopolate, ma solo un obiettivo e solo quello che è nel dna di chi l’ha progettato e che era l’obiettivo iniziale mai cambiato negli anni: cacciare nel Parco. Probabilmente si pensa che la gente sia stupida e che solo perchè i 95 selettori incaricati del macello hanno seguito un apposito percorso formativo, non siano più da considerare come semplici cacciatori che hanno trovato il sistema di uccidere la fauna del Parco ma dei benefattori o angeli caduti dal cielo che operano per il futuro equilibrio del Parco dello Stelvio.

Evidentemente i tentativi effettuati nel 2006 e 2007 (nell’estate 2007, dopo i precedenti trasferimenti di alcuni cervi, è stato effettuato un trasferimento di una ventina di camosci destinati all’area dell’Adamello) di trasferire dei capi in altre aree che necessitavano di ripopolamento sono stati ritenuti inefficaci e poco convenienti. A questo proposito è utile citare (anche se criticabili sono le lodi alla Svizzera recentemente distintasi per uccisioni di lupi e orsi) quanto affermato a proposito della attuale gestione del Parco dello Stelvio, nel settembre 2005 da Stefano Mayr, consigliere nazionale del Settore Parchi e Biodiversità di Mountain Widerness Italia, oltre che consigliere regionale del Wwf: "Non esiste, salvo qualche eccezione alcun incentivo al mantenimento di attività tradizionali combinato con il turismo e la produzione di prodotti artigianali ed alimentari di pregio, mentre la fauna viene vissuta come un disturbo, anziché essere considerata quale elemento trainante in grado di coinvolgere e attirare i visitatori. Esemplificativi a riguardo sono i discorsi che si fanno attorno alla gestione del cervo e alla tematica del ritorno, più o meno naturale, dei grandi predatori. Ai primi si vuole sparare sempre di più, agli altri si suggerisce caldamente di non farsi vedere da queste parti. Quale differenza con il confinante e comunicante Parco Nazionale Svizzero, dove il bramito del cervo e il fugace ritorno dell'orso, costituiscono periodo di alta stagione per gli alberghi".

Un po' dappertutto, nell'ambiente boschivo montano, è possibile vedere saltare da un ramo all'altro e correre lungo i tronchi l'impareggiabile scoiattolo (Sciurus vulgaris); il monitoraggio con relativo censimento per le zone campione di Oga e Cedrasco, commissionato agli inizi del 2000 dall'amministrazione provinciale di Sondrio allo studio Oikos di Varese, ha ormai accertato che lo scoiattolo rosso, specie autoctona, risulta ormai seriamente minacciato dalla presenza sempre più invasiva dello scoiattolo grigio, specie più aggressiva e originaria del nord America.
Anche la lepre alpina (Lepus timidus), simpatico animale che muta colore d'inverno, passando dal grigio al bianco più puro e presente anche a quote più alte, può apparire e sparire all'improvviso tra gli alberi, con la sua corsa caratteristica fatta di grandi salti ondeggianti a destra e sinistra. La donnola (Mustela nivalis) e la martora (Martes martes), sono invece, soprattutto la seconda, difficilmente visibili di giorno e presenti soprattutto in zone sassose o ricche di tronchi abbattuti dove è per loro più facile nascondersi.
Tra i 600 e i 2000 m di quota vive il Toporagno alpino (Sorex alpinus), insettivoro di cui sono già state incontrate altre varietà nel capitolo dedicato al fondovalle, che predilige i boschi di conifere ed è leggermente più grande del Toporagno comune (Sorex araneus).
In valle del Livrio (Alpi Orobie) il camoscio (Rupicapra rupicapra) è talora un elemento caratterizzante i boschi di media quota, boschi che in val Belviso sono frequentati anche dal muflone (Ovis musimon) qui introdotto in riserva per ragioni venatorie.
A titolo di curiosità ricordiamo l’orso (Ursus arctos) che, prima di essere sterminato, abitava i boschi di queste montagne; da un recente studio di fattibilità è emerso che anche il Parco dello Stelvio, potrebbe essere interessato, in un prossimo futuro all'attuazione del "progetto Life Ursus:tutela della popolazione dell' orso bruno del Brenta" che prevede la reintroduzione dell'orso in alcune zone alpine. A questo proposito ricordiamo che il Comitato Lombardo del Parco dello Stelvio organizzò a Bormio, nell'ormai lontana primavera del 2001, una rassegna tutta dedicata a questo grande plantigrado, intitolata "L'orso bruno delle Alpi". Dall'autunno del 2001, anno in cui il Comune di Aprica informava dell’intenzione di realizzare, nell'ambito dell'Osservatorio eco-faunistico, un museo d'alta quota dedicato ai grandi predatori, una vera e propria struttura didattica a fianco della quale si intendeva inaugurare anche un’area in cui inserire un orso nato in cattività, si sono fatti passi da gigante arrivando così nell’estate 2007 ad annunciare ufficialmente l’arrivo di una coppia di bellissimi plantigradi del peso di circa 200 kg., provenienti dal santuario di San Romedio in Trentino e ad aprire ufficialmente le visite. Si è così arrivati alla fase attuativa del progetto, ideato dal biologo B. Pedroni, approvato e condiviso dal Parco delle Orobie Valtellinesi e realizzato grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea. Il museo poi sarà dedicato a lupo, orso, lince, aquila reale, gufo reale e gipeto.
Anche senza attuare nessuna reintroduzione intanto sembra che l'orso voglia però farsi avanti con le sole sue forze; in questi ultimi anni le segnalazioni di avvistamenti (spesso tutte da verificare) si succedono sempre più frequenti, dal 1997, quando fu avvistato un orso bruno, nella zona del lago di Emet e del rifugio Bertacchi in val Chiavenna, proveniente probabilmente dalla Slovenia o dal Trentino, avvistamento poi confermato nella vicina val Curciusa, al 2002, quando un altro esemplare fu segnalato esattamente a quota 2000 m, sopra Cermine in quel di Gordona, al 2006 quando sulla stampa locale è apparsa la segnalazione del ritrovamento sulla neve, da parte di alcuni escursionisti, di grosse orme attribuibili ad un orso, nella zona dell'Alpe Lago in Val Gerola; di fronte a segnalazioni di questo tipo bisogna però essere molto prudenti in quanto può spesso trattarsi di trasformazione di impronte di altri animali, fino al giugno 2007 quando è addirittura stato avvistato in alta valle, a Trepalle e al lago delle Scale uno degli orsi reintrodotti in Trentino nell’ambito del progetto “Life Ursus” e all’aprile 2008 quando un altro o forse lo stesso orso è stato segnalato al Mortirolo, per finire all’estate 2009 quando tracce sono state segnalate al Ghiacciaio dei Forni e in Val Masino. (Sull’orso bruno vedi Abstract :Oriani A. da Il Naturalista Valtellinese 1991 n.2 e Anfossi G., Mogavero F. Santi G. da Idem come sopra 1994 n.5). A chiusura di questo paragrafo sull'orso, ricordiamo come in provincia di Sondrio rimase a lungo in cattività e in condizioni precarie in una gabbia a Chiuro,l’orso Ben, notevole esemplare di orso bruno, che rischiò a anche di essere sommerso dagli eventi alluvionali degli anni '80; negli ultimi anni del 2000, venne poi trasferito allo zoo-safari di Fasano in Puglia dove finalmente potè disporre di uno spazio vitale, di uno stagno e anche di una dolce compagna con cui proliferare.
Sembra però, in base anche alle proposte presentate di recente dal prof.Ragni dell’Università di Perugia al Parco dello Stelvio, che la reintroduzione dell'orso verrà anticipata da quella di un altro animale ormai scomparso dal nostro territorio da quasi un secolo: la lince euroasiatica (Felis lynx), già reintrodotta nel 1981 con successo in Alto Adige, con l'obbiettivo di disperdere e regolamentare la popolazione dei cervi. Già in passato è stata segnalata la probabile uccisione di una lince (Felis lynx), proveniente senza dubbio dalla val Mesolcina, addirittura nei canneti della piana di Samolaco e di recente, esattamente nel settembre del 2009 si è avvistato più volte un animale che aveva tutte le caratteristiche della lince nelle vicinanze di Pianazzola sempre in Val Chiavenna. Sembra ormai d'altra parte accertata, la presenza o il passaggio negli anni passati di questo carnivoro in val Gerola (alpe Stavello), dopo le analisi effettuate su feci e peli ritrovati in quella zona, lungo una pista individuata da tecnici dell' Azienda regionale delle foreste, nel corso di un'escursione dell'aprile 99, facente parte del progetto "Life Natura".
Nel mese di ottobre del '98 e in quello di luglio '99 sono stati organizzati due importanti convegni dedicati al lupo (Canis lupus): a Morbegno, dove il locale Museo Civico di Storia Naturale ha ospitato una mostra dedicata al nobile felino, realizzata dalla delegazione Piemonte e Valle d'Aosta del WWF e a S.Caterina Valfurva dove si è discusso del possibile ritorno del lupo nel Parco dello Stelvio. Avvistamenti di esemplari di lupo in provincia risalgono già a un paio di anni fa quando c'era stato un avvistamento di un piccolo branco al Passo dello Spluga e nel 1999, di un capo isolato sotto il pizzo Martello, tra Bodengo e Darengo. Nei primi anni del 2000 è successo che un esemplare di lupo sconfinato dal Canton Grigioni in val Bregaglia, sia stato abbattuto dalle autorità svizzere, che si sono giustificate appoggiandosi ad un’ ordinanza della confederazione che viola in modo evidente la Convenzione di Berna del 1982, in base alla quale il "canis lupus" è una specie rigorosamente protetta. L’abbattimento avvenne senza prima procedere alla dimostrazione dell'inefficacia di tutta una serie di soluzioni alternative a tutela del bestiame, come l'adozione di recinti e di cani da pastore. Questi gravi fatti spinsero Lega Ambiente a denunciare l'episodio al Consiglio d'Europa che avviò gli accertamenti del caso per la richiesta di un'eventuale sanzione. Nell'estate del 2004 giunse poi la notizia che quell'esemplare di lupo appenninico abbattuto il 29 settembre 2001 nelle vicinanze del passo di Maloja, era stato esposto al museo di Stampa, accanto all'ultimo orso della Bregaglia abbattuto nella seconda metà dell'Ottocento. Nel febbraio 2003 è giunta la conferma che la segnalazione del gennaio 2002, relativa all'avvistamento di un magnifico esemplare di lupo nelle Alpi Orobie, nell'area compresa tra i monti di Castello dell'Acqua, Carona e la val Belviso ed esattamente tra le Baite Paierone e la Baita Pianelle, era esatta; sono infatti giunti i risultati delle analisi di laboratorio effettuate sulle "fatte" rinvenute nella zona, che hanno confermato trattasi di lupo appenninico, della stessa specie di quello già abbattuto in val Bregaglia. L'animale si è probabilmente trasferito in questa zona perchè selvaggia, poco frequentata dall'uomo e assai ricca di fauna, per la presenza della vicina riserva di val Belviso. Nel mese di marzo poi e nell' estate dello stesso anno, a conferma di una presenza a cui dovremo fare gradualmente l'abitudine, è giunta la notizia di altri tre avvistamenti di lupi appenninici, i primi due nella zona di Coira in Svizzera, e il terzo tra la valle di Scalve e la valle Seriana, come viene segnalato in un articolo del 2004 della rivista Orobie. Dopo che nel 2004 giunse la notizia dell'abbandono da parte della Provincia di Sondrio del progetto regionale di ricerca: "Monitoraggio nazionale del ritorno del lupo sulle Alpi centro-occidentali" e della rinuncia ai fondi, a questo scopo stanziati dalla Regione, nell'aprile del 2005 la Provincia di Sondrio, dopo il cambio dell'amministrazione, deliberò lo stanziamento di un'importante somma destinata al proseguimento delle ricerche interrotte ormai da tempo.
Pregiatissime e ambite dagli appassionati della canna, sono le trote (varietà iridea e fario) che si possono pescare, oltre che nell'Adda anche nei torrenti che scendono da entrambi i versanti della valle, purtroppo con alvei resi sempre più asciutti dall'esiziale diffondersi delle sempre più numerose concessioni per centraline idroelettriche per lo sfruttamento dei piccoli salti, che oltre a prosciugare i corsi d'acqua della provincia, ne interrompono il corso creando danni irreparabili all'ambiente con gravissime ripercussioni sulla microfauna e sull'habitat di innumerevoli specie vegetali e animali. La nostra provincia, ricca un tempo di ampi ghiacciai, oggi ridotti spesso ai minimi termini e di acque pescose, è sempre stata oggetto di installazione di impianti idroelettrici da parte delle grandi società nazionali e regionali che, secondo quanto scritto nel discusso libro bianco “Acque misteriose” di Giuseppe Songini sulle acque, edito da Quaderni Valtellinesi, ci avrebbero sempre sottratto una quantità di acqua superiore a quanto stabilito dalle concessioni. Non solo, ormai da parecchi anni ed esattamente da quando è entrato in vigore l’ormai famoso decreto Bersani sulla liberalizzazione del mercato elettrico (DL 79/ /1999) poi integrato dal DL 387/2003 che praticamente esautora i comuni dal potere decisionale sul rilascio di nuove concessioni, anche gli alvei dei suoi torrenti sono diventati preda di società private che sfruttando la possibilità di facili guadagni (un impianto medio può rendere dai 500.000 agli 800.000 € all’anno) e installando i loro impianti di captazione li hanno resi sempre più asciutti e privi di alcun segno di vita. Questo è ormai diventato uno dei problemi vitali della provincia e uno dei temi più ricorrenti sulle pagine della stampa locale, intorno al quale si sono organizzati in passato innumerevoli convegni promossi da varie associazioni tra cui l'Unione pesca e comitati vari sorti spontaneamente sul territorio provinciale tra cui ricordiamo il Gruppo Valmalenco, il primo ad intervenire sul tema, Iaps (Intergruppo acque) e H2Orobie. Dopo che nell’estate 2007, previo esame della situazione presso la Regione, si è giunti all’approvazione di una moratoria e alla sua firma da parte sia del Ministero dell’ambiente che dall’Autorità di Bacino, si è passati all’effettivo avvio del processo che prevede l’approvazione di un piano delle acque della provincia di Sondrio in cui devono essere fissati finalmente limiti, vincoli e compensazioni per le eventuali derivazioni. In attesa della sua attuazione le concessioni sono state così temporaneamente bloccate raggiungendo l’obbiettivo della moratoria. Scaduta però questa a fine 2008, le società, spesso non valtellinesi, che sono in agguato sempre più desiderose di incrementare i loro lucrosi guadagni con l’installazione di nuovi impianti, si stavano facendo più impazienti rivolgendosi sempre più spesso al Tribunale delle acque con i loro ricorsi. Il 21 luglio 2009 è giunta quindi provvidenziale la lieta novella che il Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino aveva adottato e fatto proprio lo studio sul bilancio idrico di Valtellina e Valchiavenna condotto da Ministero dell’Ambiente, Regione Lombardia e Provincia di Sondrio (che ha meritato per la sua lotta per le acque valtellinesi nel 2009 la “bandiera verde di lega Ambiente), rendendo così praticamente impossibile l’installazione di nuove centraline almeno fino alla definizione del Piano territoriale di cui fa parte, e si spera anche oltre se questo Piano, come dovrebbe essere, non subirà modifiche sostanziali. Proprio per vegliare che tutto proceda nel migliore dei modi anche per quanto riguarda il rinnovo delle concessioni e il rispetto dei livelli dei deflussi minimi vitali delle centraline già installate, rimane sempre operativo sul territorio lo Iaps, tanto più che nel corso del 2009 sono già state presentate proposte di legge per spostare le competenze sulle acque dalla Provincia alla Regione. Nel corso del 2009 la Provincia si è dotata della Vas o Valutazione ambientale strategica, nell’ambito del Piano Territoriale di Coordinamento provinciale che è destinato a diventare, salvo colpi di mano provenienti dall’esterno, un vero e proprio strumento di settore per l’utilizzo e la tutela delle nostre acque. Si apre poi la questione del rinnovo delle concessioni ai grandi impianti idroelettrici in provincia e in vista dell’ampio dibattito che ne seguirà, nel settembre 2009 è stato istituito un apposito Comitato istituzionale che se ne dovrà occupare.
Il versante retico della Valtellina, in zona montana, ma non solo quello, costituisce l’habitat ideale per la vipera aspide (1 - 2) (Vipera aspis); presente ma più raro e localizzato è anche il marasso(1-2) (Vipera berus).
Il Parco delle Orobie commissionò nel corso del 2003 una mappatura della presenza della vipera in bassa Valtellina a due erpetologi, uno dell'Università di Pavia e l'altro del Museo di Scienze naturali di Milano, che si avvalsero anche della collaborazione dell'Ersaf e dei dati già presenti presso il l Museo di storia naturale di Morbegno. Tra i rettili e precisamente tra i sauri presenti fino a una quota di 2000 m, ricordiamo l'orbettino, innocuo "serpentello" che , come già ricordato, se aggredito e calpestato o morso, ha la proprietà di poter perdere la coda (che muovendosi distrae l'aggressore) e così di sfuggire a morte certa.
Nelle zone più umide e nei pressi di corsi d’acqua è possibile ammirare, come d'altra parte anche nella fascia submontana, i colori sgargianti della salamandra pezzata (Salamandra salamandra), rintracciabile come d’altra parte la rana (Rana temporaria-esemplare dell’alpe Campascio-Val Malenco) anche a quote abbastanza elevate.
Altra specie di salamandra di cui sono già stati individuati più di trenta esemplari in Val Gerola è la salamandra nera o alpina (Salamandra atra) e proprio per approfondire la conoscenza di questo urodelo, che può anche fare a meno dell’acqua e che ha una distribuzione altitudinale che varia dai 600 ai 2000 m, nel 2008 è stato avviato il progetto “La salamandra nera del parco delle Orobie valtellinesi”.
I mille fiori dell'ambiente montano attirano molteplici varietà di farfalle tra cui possiamo citare la Heodes virga aurea, l'Argynnis paphia, l'Aporia Crataegi e l' Antiopa , presente anche a quote più basse, oltre a molte specie di licenidi dalle svariate tonalità di azzurro, alla smagliante Apatura iris, dalla colorazione dai riflessi violetti e alla Limenitis populi, dalle tonalità blu quasi nere con macchie bianche.
Tra i coleotteri citiamo per esempio un coleottero della famiglia dei crisomelidi (Sui crisomelidi vedi Abstract : Renato Regalin, Jan Bezdek, Fabio Penati, Livio Capponi da Il Naturalista Valtellinese n. 17 2006) di un bel colore rosso ciliegia, osservabile sia in pianura come in ambiente montano fino ai 2000 m e oltre.
Nel Parco delle Orobie valtellinesi sono segnalati numerosi degli insetti endemici italiani. Tra questi, sui monti di Caiolo e Cosio, il raro coleottero “Duvalius longhii”, al passo di San Marco il “Cychrus cilyndricollis”, al passo di Salmurano il “Dimorphocoris tomasii”, mentre altro interessante coleottero è l’”Eusphalerum limbatum diolii” che vive nel calice dei fiori di montagna.

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L'orizzonte sub-montano
L'orizzonte alpino


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